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titolo gli zuavi pontifici: i soldati del papa re

di Charles-Edmond Rouleau 1

 

postato: 29 giugno 2023

 

zuavo pontificio

 

 

Prefazione

 

Quando il programma scolastico di Storia, delle scuole medie o superiori, approda alla fatidica «questione romana», presenta l'esistenza dello Stato pontificio come un insormontabile ostacolo all'unificazione d'Italia. Il potere temporale dei Papi viene proposto allo studente come un antico retaggio dei secoli bui, una sorta di nefasta conseguenza dell'odiato «cesaro-papismo», un'inammissibile ingerenza di un potere che per sua natura dovrebbe essere puramente spirituale 2; per farla breve, come un abuso cui si doveva al più presto porre riparazione.

 

Dal canto loro, i cosiddetti «cattolici liberali» 3, smaniosi di piacere al mondo, hanno applaudito questa riparazione presentandola come la liberazione da un pesante fardello che impediva ai Sommi Pontefici di esercitare in tutta libertà il loro ministero. In realtà, come dimostra splendidamente questo scritto, i nemici della Chiesa - i liberali, le Società Segrete, e soprattutto la sètta massonica - volevano privare il Papato di qualsiasi sostegno materiale in vista della sua definitiva scomparsa che si pretendeva imminente 4. Il Papato non scomparve e non verrà mai meno fino alla fine del mondo come ha promesso Cristo:

 

«E io ti dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa» (Mt 16, 18).

 

tu es petrus

«Tu es Petrus, et super hanc petram

ædificabo Ecclesiam meam».

 

E tuttavia, la sparizione dello Stato della Chiesa (ridotto simbolicamente alla sola Città del Vaticano), causò enormi difficoltà materiali e spirituali alla Chiesa e divise gli animi degli italiani. Di fronte all'usurpazione dei suoi diritti, nel 1874, Pio IX invitò i cattolici a non partecipare alle elezioni politiche (il famoso «non expedit») 5. Tale frattura, che vide il Papa prigioniero in San Pietro per molti decenni, venne parzialmente risanata con i Patti Lateranensi dell'11 febbraio 1929 che ristabilirono i rapporti tra Stato e Chiesa, che ripararono parte dei torti subiti da quest'ultima e le permisero di riprendere l'apostolato in tutta libertà. Ma ormai il male era fatto e le sue ineluttabili conseguenze iniziarono a farsi sentire.

 

Lentamente, una terra profondamente cristiana come quella italiana, divenne sempre più laica e sempre più ispirata ai principî liberali introdotti dagli invasori piemontesi 6, nemici dei diritti di Dio e della Chiesa sui singoli e sulla società. Oggi, i frutti mortiferi di questa mentalità atea, uscita dalle Logge, sono sotto i nostri occhi. Cose impensabili anche per un liberale del XIX secolo, come l'aborto, il divorzio o l'eutanasia, oggi sono una tragica realtà. Le pagine che seguono narrano la storia (assente sui manuali scolastici) di migliaia di giovani che sul finire dell'epoca risorgimentale abbandonarono le loro famiglie e partirono da tutto il mondo 7 per andare a difendere dall'invasore lo Stato pontificio e l'augusta persona del Papa.

 

Il loro sacrificio è una tra le tante pagine di Storia rimaste nell'ombra o messe volutamente in secondo piano. La loro devozione alla Santa Sede in un momento così tragico rimane una preziosa testimonianza di fede per la posterità. Certo, per i cattolici di oggi è difficile anche solo concepire lo spirito che animò i soldati del Papa Re. Una falsa e irenistica nozione di pace (il pacifismo) e l'orrore per l'uso della forza (anche a scopo di difesa) sono così penetrati nella nostra cultura che, nonostante la dottrina della Chiesa ammetta ancora l'uso delle armi in caso di guerra giusta, le gesta degli zuavi pontifici potrebbero apparire incomprensibili anche 8. Tuttavia, il messaggio che questi eroi dimenticati ci hanno lasciato, scritto con il loro sangue, è che esiste una causa per cui è doveroso morire e, se necessario, uccidere; ed è la causa della Chiesa cattolica e del Vicario di Cristo in terra.

 

  Paolo Baroni

 

charles-edmond rouleau

Sopra: la fotografia dello zuavo pontificio canadese Charles-Edmond Rouleau (1841-1926), l'autore di questo scritto, redatto nel 1896.

 

 

 

Introduzione

 

Nel 1848, la Rivoluzione che già minacciava di scalzare l'ordine sociale alla sua base, si scatenò contro Roma. Il 15 novembre, il conte Pellegrino Rossi (1787-1848), valoroso sostegno del Papato e Primo Ministro del Governo pontificio, cadde sotto il pugnale degli adepti della Carboneria, una Società Segreta italiana.

 

pellegrino rossi

assassinio di pellegrino rossi

Sopra: assassinio di Pellegrino Rossi.

 

L'indomani, una folla furiosa, aizzata da Giuseppe Mazzini (1805-1872) 9, assediò il palazzo del Quirinale, dove Pio IX (1792-1878) si era rifugiato per sfuggire alla spada degli assassini. La tempesta crebbe di intensità; si tentò di incendiare il Quirinale.

 

giuseppe mazzini

 

Le pallottole piovevano; una di esse penetrò nella camera dove il Papa pregava per i suoi boia, e ferì mortalmente S. E. Mons. Giovanni Battista Palma (1791-1848). Il Sommo Pontefice credette fosse giunta la sua ultima ora, quando una donna coraggiosa, la contessa Teresa de Spaur (1814-1873), ideò con suo marito, il duca de Harcourt (1786-1865), il progetto di salvare il Re di Roma.

 

duca de harcourt

 

L'eroina mise in pratica il suo piano, e la sera del 24, Pio IX, travestito, salì sulla carrozza del duca de Harcourt, che lo trasportò a Gaeta, nel Regno di Napoli, dove venne ricevuto a braccia aperte dal re Ferdinando II di Borbone (1810-1859).

 

ferdinando II di borbone

 

Durante il suo esilio, il Santo Padre non smise di protestare contro le spoliazioni fatte dalla Rivoluzione. Lanciò la scomunica contro i membri della Giovane Italia e contro i rivoluzionari che devastavano Roma, saccheggiavano le chiese e cacciavano i religiosi dai loro monasteri. L'iniquità era passata sulla Città Santa come un torrente devastatore 10. Mazzini spinse l'empietà e il cinismo fino a parodiare il Papa salendo sul balcone della Basilica di San Pietro, dove il Romano Pontefice impartisce la benedizione Urbi et Orbi («alla città e al mondo»).

 

repubblica romana

Sopra: 4 luglio 1849; proclamazione

della Repubblica Romana.

 

Alla fine, l'Europa si ribellò davanti a tanta audacia e a tanti sacrilegi. La Spagna si offrì per liberare Roma dal giogo dei vandali del 1848. L'Austria occupò Ferrara. I napoletani oltrepassarono la frontiera e penetrarono fino a Velletri, a dieci chilometri da Roma. Mazzini, capo dei rivoluzionari, voleva tener testa all'Europa. Improvvisamente, la Francia si risvegliò e fece sbarcare delle truppe a Civitavecchia, il 25 aprile 1849. Napoleone III (1808-1873) occupò militarmente un punto dell'Italia, «per garantire l'integrità del Piemonte e per salvaguardare gli interessi della Francia».

 

napoleone III

 

Ma i cattolici della figlia primogenita della Chiesa chiesero al presidente della repubblica di ristabilire il Papa sul suo trono e di continuare a proteggerlo contro i rivoluzionari. Il Generale Charles Oudinot (1767-1847) ricevette allora l'ordine di marciare su Roma, dove giunse il 30 aprile. Avendo l'Esercito francese subito un insuccesso, il Generale chiese dei rinforzi che arrivarono solamente nel mese di giugno. Il 22 dello stesso mese, l'Esercito francese si lanciò in un primo assalto.

 

generale charles oudinot

 

Il 29, il Generale Oudinot si impossessò dell'antica città dei Cesari, e il Colonnello Adolphe Niel (1802-1869) venne incaricato di portare le chiavi di Roma a Pio IX, che nel frattempo si trovava a Portici. Il Sommo Pontefice, colmo di gioia, riprese, alcuni mesi più tardi, la strada per Roma, nella quale fece la sua entrata trionfale il 12 aprile 1850.

 

colonnello adolphe niel

 

Il suo ritorno venne salutato da alcune salve di artiglieria, dal suono di tutte le campane della città e al grido di «viva Pio IX! Viva il nostro Santo Padre»! Il popolo romano era all'apice della felicità. Una volta cacciati i rivoluzionari da Roma, la Chiesa continuò a governare il mondo cattolico con la sua ordinaria sollecitudine, spargendo ovunque i benefici della sua ardente carità.

 

pio IX ritorno da gaeta

Sopra: Papa Pio IX, di ritorno dal suo esilio a Gaeta, viene accolto con grande affetto dalla popolazione romana.

 

L'occupazione di Roma da parte dell'Esercito francese procurò al Papato un'era apparente di pace e di tranquillità che durò fino nel 1859, quando Vittorio Emanuele II (1820-1878) annesse la Romagna al Piemonte, pur protestando la sua fedeltà e la sua devozione alla Santa Sede, l'ipocrita! Si comportò come un bambino che, per provare il suo amore e il suo affetto all'autore dei suoi giorni, gli toglie una parte dei suoi beni. La Francia, governata allora da Napoleone III, permise questo furto senza far sentire nessuna protesta.

 

vittorio emanuele II

 

Disse uno scrittore francese:

 

«Da molto tempo lo Stato Pontificio non era più militarmente organizzato. Paterno e pacifico per sua natura, questo governo non aveva potuto seguire lo sviluppo della centralizzazione degli eserciti permanenti che consegnava ormai l'Europa alle brame di alcuni grandi poteri, impiegando le risorse della scienza e della ricchezza moderna per aumentare il loro impero a spese dei loro vicini. Dal momento che la Rivoluzione universale era libera di dirigere contro Roma tutte le forze d'Italia e che agiva con la complicità o almeno con l'assenso della Francia, la resistenza poteva sembrare insensata.

 

Nello stesso momento in cui gli austriaci si erano concentrati sul Mincio, i delegati della Santa Sede si erano affrettati ad evacuare la Romagna. Prima che un pericolo serio li minacciasse, essi abbandonarono Bologna, Ravenna, Ferrara e Perugia ad un pugno di insorti e di soldati improvvisati, inviati dal Piemonte. In un momento di così grande pericolo, San Pio V non aveva temuto di confidare i poteri illimitati al Generale Marcantonio Colonna, che si mise alla testa dei suoi eserciti e gli ottenne la vittoria decisiva sui turchi a Lepanto. Pio IX seguì questo esempio.

 

papa san pio V - generale marcantonio colonna

 

Risoluto a non cedere senza battersi la corona che aveva giurato di trasmettere ai suoi successori, abbandonato dalle grandi potenze, non potendo appellarsi che alla devozione individuale dei suoi figli. Gli occorreva innanzi tutto un capo capace di portare un tale fardello e di organizzare la resistenza con le deboli risorse di cui disponeva lo Stato Pontificio, e con gli elementi che sarebbero venuti ad offrirsi dai quattro angoli del mondo. Per questa missione scelse il Generale de La Moricière.

 

Ma questi avrebbe accettato? Generale illustre, il più bravo tra tutti i soldati del mondo, avrebbe acconsentito a diventare un uomo d'armi del Papa, capo di un Esercito che ancora non esisteva e che poteva essere condannato alle più umilianti sconfitte? Ministro di Cavaignac, che aveva solamente ratificato a metà la spedizione del 1849, di cui aveva poi rifiutato il comando, ammiratore di Tocqueville e imbevuto di tutte le illusioni liberali d'Europa, avrebbe sostenuto un potere che rappresentava un rimasuglio dell'antico regime, irto di abusi e di imperfezioni, il modello d'unione perfetta tra la Chiesa e lo Stato? Dal punto di vista della sua gloria, non si paventava forse un sacrificio al di sopra delle sue forze, e a causa delle sue idee un ostacolo invalicabile»?

 

Bisognava dunque conoscere i sentimenti del Generale Louis Christophe Leon Juchault La Moricière (1806-1865). Pio IX incaricò di questa delicata missione Claude-François-Philibert Tircuy de Corcelles (1802-1892), ambasciatore francese a Roma dal 1849, e amico devoto del Papato. Nel mese di ottobre del 1859, il messaggero papale incontrò il Generale a Parigi e gli chiese, nel corso di una conversazione, ciò che pensava del comando dell'Esercito del Papa ed egli rispose: «Penso che sia una causa per la quale sarei felice di morire».

 

generale la moricière - tircuy de corcelles

 

Questa nobile risposta venne comunicata subito al Sommo Pontefice, il cui cuore fu ripieno di gioia al pensiero di avere presto alla testa della sua piccola armata il più grande guerriero dei tempi moderni. Mons. Frédéric-François-Xavier Ghislain de Mérode (1820-1874), ex capitano belga che aveva servito nello Stato Maggiore di La Moricière in Africa, ricevette l'ordine di andare a chiedere immediatamente e ufficialmente l'aiuto della spada del nuovo Bayard 11 francese.

 

mons. frédéric-françois-xavier ghislain de mérode

 

Egli giunse il 3 marzo 1860 al castello di Prouzel, dove portò a termine la missione che aveva ricevuto da Pio IX. Il Generale rispose all'inviato del Papa: «Quando un padre chiama suo figlio per difenderlo, non c'è che una cosa da fare: andarci». Anche la signora de La Moricière, una donna cristiana e coraggiosa, rispose a de Mérode: «Non si discute la chiamata di un padre». Il Generale de La Moricière fece in fretta i suoi preparativi di viaggio e partì, il 19 marzo, per la città dei Papi, dove giunse la notte del 2 aprile. Sua Santità Pio IX gli affidò il comando in capo dell'Esercito papale e la fondazione del Reggimento degli zuavi pontifici.

 

Sopra: in questa vetrata Papa Pio IX affida il comando dell'Esercito pontificio al Generale de La Moricière.

 

Castelfidardo, 18 settembre 1860

 

Nel 1859, Vittorio Emanuele II aveva sottratto la Romagna agli Stati della Chiesa; ma la Rivoluzione non era ancora soddisfatta (l'inferno non è mai sazio). Essa spinse più lontano il re ladrone sulla via dell’iniquità: ora voleva le Marche e l'Umbria. Vittorio Emanuele si arrese al suo desiderio e scrisse al Santo Padre chiedendogli di cedere al Piemonte le sue due più belle province, e ciò, naturalmente, per il maggior bene della Chiesa! Che impostore!

 

Egli giunse persino a protestare il suo attaccamento alla Chiesa e a chiedere al Papa la benedizione apostolica. Alcuni giorni più tardi, nel settembre del 1860, senza nessuna dichiarazione di guerra, l'Esercito piemontese, sotto il comando del Generale Enrico Cialdini (1813-1892), invase il territorio della Chiesa. Ecco l'ordine del giorno che il Generale piemontese inviò alle sue truppe prima di superare la frontiera:

 

«Soldati, vi conduco contro una banda di avventurieri che la sete dell'oro e del saccheggio ha portato nel vostro Paese. Combattete, disperdete inesorabilmente questi miserabili sicari; che, per mezzo della vostra mano, sentano la forza e la collera di un popolo che vuole la sua indipendenza. Soldati! Perugia chiede vendetta, e benché sia tardi, l'avrà»!

 

generale enrico cialdini

 

Cialdini, il tuo nome figurerà sempre nella Storia imparziale, non coperto di gloria e di onore, ma di vergogna e di obbrobrio. Ecco un esempio delle invettive e delle infamie di cui i difensori del Papa furono oggetto da parte dei corifei della Rivoluzione o dei principali dignitari delle Logge massoniche. Il Generale de La Moricière che, come abbiamo detto, aveva appena organizzato il piccolo Esercito pontificio, con il concorso di Mons. Mérode, si affrettò ad affrontare i piemontesi che incontrò vicino a Castelfidardo, l'8 settembre.

 

Il celebre Generale francese fu raggiunto dal Generale Georges de Pimodan (1822-1860) alla testa di 2.000 soldati, fatto che portò l'effettivo dell'Esercito del Papa a 5.000 uomini. Cialdini comandava 45.000 soldati. Malgrado questa enorme disparità nella forza numerica dei due eserciti, de La Moricière non esitò a far fronte all'invasore. La piccola divisione comandata da Pimodan, nella quale figurava con onore il corpo di 300 franco-belgi, che più tardi divenne il Reggimento degli zuavi pontifici, si distinse per i prodigi di valore.

 

generale georges de pimodan

 

Per tre ore, questo pugno di coraggiosi tenne in scacco un'intera divisione piemontese, barricandosi nella fattoria Crocette, che aveva strappato al nemico con la punta della baionetta. Prima del combattimento, questi valorosi difensori del Papato si erano confessati e avevano ricevuto la santa Comunione. Possedevano Dio nel loro cuore. Il campo di battaglia fu ricoperto dal loro sangue generoso e puro. Tra questi illustri martiri della fede, ci fu il Generale Pimodan e da 100 a 150 franco-belgi.

 

battaglia di castelfidardo

Sopra: la battaglia di Castelfidardo.

 

Prima del combattimento, il valoroso Capitano francese si era accontentato di dire agli zuavi: «Ricordatevi che siete cattolici e francesi». Egli ricevette tre ferite, colpo su colpo, e ad ogni pallottola che gli entrava in corpo, ripeteva: «Dio è con noi». Morì all'indomani. Apprendendo il glorioso trapasso di suo marito, la signora de Pimodan, che era rimasta in Francia, prese il suo unico figlio tra le braccia e lo coprì di baci dicendogli: «Anche tu farai il soldato del Papa». Non c'è che l'amore cristiano che possa alleare in questo modo la sublimità all'eroismo.

 

ossario-sacrario castelfidardo

Sopra: l'ossario-sacrario che raccoglie le spoglie dei caduti nella battaglia di Castelfidardo.

 

 

Fervorino di don Ugo Carandino al sacrario di Castelfidardo (21 maggio 2023).

 

manifesto antipapista

Sopra: vergognoso manifesto fatto affiggere dalle nuove autorità di Castelfidardo che inizia con parole che la dicono lunga sulla falsità del re piemontese: «Cessata finalmente anco per noi la tirannia Papale...».

 

Schiacciato dal numero e ridotto dalla defezione di due battaglioni di cacciatori e del primo squadrone di dragoni che furono presi dal panico, malgrado gli sforzi dei Colonnelli Joseph Eugéne Allet (1814-1878), Cropt e del Maggiore Vittorio Odescalchi, il piccolo Esercito pontificio dovette battere in ritirata. Circa 400 uomini, guidati da de La Moricière, ripiegarono su Ancona.

 

colonnello joseph eugéne allet

 

I franco-belgi e il resto della truppa papale si rifugiarono a Loreto, dove avrebbero dovuto deporre le armi la sera stessa, dopo avere preso l'impegno di non servire nell'Esercito del Papa che per un anno e di tornare nel loro Paese. I franco-belgi si rifiutarono di sottoscrivere a questo impegno e fuggirono sulle montagne; parecchi di essi riuscirono raggiungere Ancona con l'aiuto delle tenebre.

 

colonnello vittorio odescalchi

 

Castelfidardo! Se da una parte ci fai tornare alla memoria tristissimi ricordi, dall'altra ci rammenti il nome di un grande Capitano che ha stupito i suoi superiori per le sue valorose prodezze, e colpito d'ammirazione l'Esercito di Cialdini. Questo Capitano - tutti lo conoscono - è il barone Athanase de Charette (1832-1911) 12, che siamo stati così felici di ospitare all'epoca della celebrazione della nostra festa nazionale, nel 1882.

 

athanase de charette

 

Mentre le pallottole piovevano e le granate solcavano l'aria in ogni direzione seminando il terrore e la morte sul campo di battaglia, il Capitano de Charette, del corpo dei franco-belgi, incoraggiava i suoi soldati con la parola e con l'esempio. La sua spada non smetteva di colpire, e tutti i fendenti che portava erano mortali. Anziché indietreggiare davanti al numero preponderante del nemico, avanzava sempre, finché si trovò di fronte alla bandiera dell'Esercito avversario.

 

medaglie pontificie di castelfidardo

Sopra: medaglia (fronte e retro) conferita ai soldati pontifici che avevano partecipato alla battaglia di Castelfidardo. Attorno alla croce rovesciata (simbolo di San Pietro) su quella di destra è scritto in latino: «Pro Petri Sede» («Per la Sede di Pietro). Su quella di sinistra: «Victoria quæ vincit mundum. Fides nostra» («La vittoria che ha vinto il mondo. La nostra fede»).

 

Fermatosi, lanciò uno sguardo di sfida e di sdegno sui suoi avversari, e li invitò a misurarsi con lui, ma nessuno si mosse. Brandì la sua spada con collera e trattò i piemontesi da vigliacchi e da codardi. Quest'ultima apostrofe produsse il suo effetto. Un ufficiale piemontese, di nome Tromboni, uscì dai ranghi e accettò il combattimento. I due Eserciti si fermarono per un momento per contemplare i due atleti. Le spade si incrociarono, e due volte Tromboni venne toccato e ferito gravemente. Charette non ricevette nessuna ferita. Esclamò il vinto: «Capitano vi consegno la mia spada». Disse Charette ai suoi zuavi: «È mio prigioniero. Abbiatene molta cura».

 

athanase de charette - castelfidardo

Sopra: il valoroso barone Athanase de Charette durante la battaglia di Castelfidardo alza la bandiera pontificia sul nemico sconfitto.

 

I franco-belgi e gli zuavi, ubriachi di gioia, acclamarono il loro Capitano e lo portarono in trionfo. I piemontesi curvarono la testa per la vergogna e la rabbia. Cialdini schiumò di rabbia. Il combattimento riprese più accanito e più sanguinoso. Malgrado le sue prodezze, il corpo dei franco-belgi venne quasi annientato, e Charette ricevette due pallottole in corpo. Era la fine di questa cruenta tragedia.

 

zuavi pontifici a messa

Sopra: le truppe pontificie si

comunicano prima della battaglia.

 

Il barone de Charette aveva appena mostrato ciò che era sempre stato: un eroe senza paura e senza macchia; ma non fu l'ultima volta che l'armata pontificia poté ammirare il suo coraggio e le sue gloriose prodezze. Ecco come si batte un soldato che ama il suo Dio e il Papa. Ancona, difesa da circa 5.200 soldati pontifici e assediata da 45.000 uomini, 400 bocche da fuoco e una flotta armata con cannoni a lunga gittata, capitolò il 28 settembre, dopo un assedio di dieci giorni e di assalti mortali rinnovati senza tregua.

 

Fu col più crudele dolore che il Generale de La Moricière diede l'ordine di inalberare la bandiera bianca sulla cittadella; lo si può capire dalle seguenti parole del Maggiore Théodore de Quatrebarbes (1803-1871), governatore della città:

 

«Ero salito alla cittadella dove trovai il Generale che passeggiava da solo nella casamatta. Gli ufficiali dello Stato Maggiore rispettavano il suo silenzio. Ogni tanto si fermava, le sue folte sopracciglia si contraevano e i suoi occhi neri lanciavano come dei lampi. Dio solo sa la lotta che avveniva in quel momento nel suo cuore. "Su quanti uomini posso contare se la capitolazione non viene accettata"?, mi disse vedendomi. "Su 1.200 uomini, mio Generale.

 

Sopra: l'assedio di Ancona.

 

Sono abbastanza per il campo trincerato e per la cittadella, e potremmo, abbandonando la città, prolungare all'occorrenza la difesa di quarantott'ore. Sarebbe mio dovere, se avessimo solamente una vaga speranza di soccorso... Oggi, sarebbe un suicidio inutile". Guardavo con profonda emozione questo glorioso e leale soldato, il vincitore di Abd-el-Kader e degli arabi che non aveva mai conosciuto la sconfitta, questo eroico difensore della società e della civiltà cristiana oggi vinto e prigioniero alla mercé di un nemico oscuro che doveva il suo successo unicamente al numero e alla perfidia».

 

maggiore théodore de quatrebarbes

 

Sì, Quatrebarbes aveva ragione ad usare l'espressione «perfidia» parlando della Francia; perché la figlia primogenita della Chiesa, trascinata sulla via dell'iniquità e del tradimento dall'imperatore Napoleone III, abbandonò il successore di San Pietro al furore dei suoi nemici e lasciò consumare la trama ordita alcuni giorni prima dal re d'Italia e dall'imperatore dei francesi. La storia ce ne fornisce alcune prove incontestabili. L'11 settembre, il console di Francia ad Ancona, ricevette da Antoine-Alfred-Agénor duca di Gramont (1819-1880), ambasciatore a Roma, il seguente dispaccio:

 

«L'imperatore ha scritto da Marsiglia al re di Sardegna che, se le truppe piemontesi penetreranno nel territorio pontificio, sarà costretto ad opporsi. Alcuni ordini sono già stati dati per imbarcare delle truppe a Tolone, e questi rinforzi devono giungere senza ritardo. Il governo dell'imperatore non tollererà la colpevole aggressione del governo sardo».

 

antoine-alfred-agénor duca di gramont

 

Mai uomo ha voltato gabbana con tanta spigliatezza come l'imperatore Napoleone III. Difatti, la verità non tardò ad emergere. Dopo avere preso conoscenza di questo dispaccio, Quatrebarbes diede l'ordine ad un impiegato del consolato francese di andare a comunicare questo importante documento al Generale Cialdini, Comandante in capo dell'Esercito piemontese, e di pregarlo di cessare le ostilità. Rispose Cialdini all'inviato francese: «Calmatevi. Quindici giorni fa abbiamo incontrato il vostro imperatore a Chambéry, e sappiamo cosa fare».

 

Questa confessione del Generale Cialdini non lascia alcun dubbio sulle disposizioni dell'imperatore dei francesi a riguardo del capo della Chiesa cattolica. Come Giuda l'aveva venduto al re di Sardegna. Del resto, i documenti ufficiali, pubblicati dal governo francese, provano che Napoleone III incontrò Cialdini a Chambéry e che l'autorizzò ad invadere gli Stati della Chiesa dicendogli: «Fate in fretta a schiacciare de La Moricière prima che abbia il tempo di organizzare l'Esercito pontificio».

 

generale enrico cialdini

Sopra: il Generale Enrico Cialdini e il suo stato maggiore. Anche durante la conquista del Regno delle due Sicilie, Cialdini si macchiò di efferati delitti contro la popolazione inerme.

 

Fu conformemente a questo infame complotto che venne deciso l'agguato di Castelfidardo. Per salvare le apparenze e conservare l'amicizia dei cattolici francesi, Napoleone finse di esercitare una falsa protezione su Roma, e a questo scopo diede l'ordine di inviargli dei rinforzi, ma solamente dopo che de La Moricière, suo nemico personale, fosse stato vinto e messo nell'impossibilità di nuocergli nel compimento dei suoi progetti anticristiani.

 

Sapendo che tutti questi attentati non avrebbero mancato di risvegliare l'opinione pubblica in Francia e di attirare dei rimproveri ben meritati, Napoleone III fece ricorso al raggiro per dissimulare la sua complicità con i rivoluzionari e gli spoliatori degli Stati Pontifici: nel momento stesso in cui i piemontesi mettevano piede in territorio papale, egli partì per l'Algeria, dove voleva fondare un regno arabo. E alcuni giorni più tardi, l'iniquità venne consumata. Fu in presenza di tutti questi fatti incontestabili ed incontestati che il celebre Cardinale Louis-François-Desiré-Edouard Pie (1815-1880), Vescovo di Poitiers, esclamò un giorno, parlando dell'imperatore dei francesi: «Lavati le mani, Pilato»!

 

 

Ma, non dimentichiamolo, la divina Provvidenza non lascia mai il crimine impunito. Infatti, dieci anni dopo, Napoleone III fu fatto prigioniero a Sedan e andò a morire in terra straniera, mentre la Francia perdeva l'Alsazia e la Lorena. Il traditore è scomparso, mentre il Papato vive ancora e vivrà fino alla fine dei secoli. Permetteteci di citare alcune parole che il Generale Charette de la Contrie pronunciò parlando della battaglia di Castelfidardo, nel 1885, alle nozze d'argento del nostro Reggimento:

 

«Il 17, bivaccammo sotto Loreto, e il 18 ricevemmo a Castelfidardo il battesimo del fuoco. La vigilia, il Comandante Becdelièvre ci riunì: "Signori - ci disse - domani, combatterete per la prima volta; per essere sicuri di fare onore alla vostra uniforme, passate al confessionale". Non vi racconterò la battaglia di Castelfidardo; ricorderò solamente l'ordine del giorno del Comandante Becdelièvre: «Nominateli tutti o non nominatene alcuno, perché tutti hanno fatto il loro dovere».

 

Sopra: zuavi pontifici francesi guidati all'attacco dal loro Capitano. Sullo stendardo è scritto: «Cœur de Jésus sauvez la France» («Cuore di Gesù salvate la Francia»).

 

Un centinaio di volontari, che non aveva potuto raggiungere il battaglione a Terni, agli ordini del Colonnello di Mortillet, di de Saisy e di Thomalé, fece una puntata sul Monto Corvo. Alcuni zuavi, dopo la battaglia, raggiunsero Ancona: uno solo tornò a Roma con armi e bagagli: si chiamava Rouleau 13. Era un vandeano! A Castelfidardo, furono dei ragazzi come Héliand a cadere! Sua madre, apprendendo la notizia della sua morte, cantò il Te Deum. Un ex zuavo d'Africa come Colombeau morì gridando: "Viva la Francia"! O un santo come Guérin, la cui bara, dimenticata in una stazione in Austria, venne riportata infine a Nantes in trionfo operando dei miracoli».


Gli zuavi pontifici

 

Il primo pensiero del de Generale La Moricière, prendendo il comando dell'Esercito pontificio, fu di formare un corpo di fanteria leggera simile ai suoi cari zuavi d'Africa. Questo corpo venne costituito il 1º giugno 1860 e prese il nome di «esploratori pontifici», o piuttosto di «volontari franco-belgi». Louis Aimé Becdelièvre (1826-1871), Capitano dei Cacciatori appiedati, ne divenne il Comandante, e il barone de Charette, il Capitano.

 

louis aimé becdelièvre

 

L'effettivo di questa truppa d'élite, alla battaglia di Castelfidardo, ammontava a circa trecento uomini. Il 6 ottobre dello stesso anno, Becdelièvre venne promosso al grado di Tenente Colonnello. A quel tempo, il battaglione comprendeva sei compagnie. Il 1º gennaio 1861, il corpo prese ufficialmente il nome di «zuavi pontifici». Hypolit de Moncuit de Boiscuille (1828-1902) e de Charette ebbero l'onore di indossare per primi l'uniforme degli zuavi che venne scelta da Pio IX, dal Generale de La Moricière e da Mons. Mérode.

 

hypolit de moncuit de boiscuille

 

Becdelièvre diede le dimissioni il 21 marzo 1861, e ritornò in Francia. Venne sostituito come Tenente Colonnello da Joseph Eugéne Allet, uno degli eroi di Castelfidardo. Il Capitano Charette venne promosso al grado di Comandante. Nel mese seguente (agosto), il battaglione venne portato ad otto compagnie. Uno dei soldati di Becdelièvre annunciò il congedo del suo Colonnello nei seguenti termini:

 

«Il nostro valoroso Colonnello Becdelièvre ci ha lasciato in seguito a dispute con Mons. de Mérode. Non mi compete di conoscere i motivi che hanno dettato la sua partenza [...]. Tre o quattro ufficiali hanno creduto di dovere seguire il Colonnello nel suo congedo; e c'è stata, è ovvio, un po' di emozione e di agitazione tra noi. Ma ciò è durato solamente un giorno. Tutti gli spiriti si sono rapidamente calmati, grazie alle belle parole del Capitano de Charette che ci ha dichiarato il desiderio del Santo Padre di vederci restare sotto la sua bandiera, e che un tale desiderio doveva essere più di un ordine per noi. Abbiamo gridato: "Viva Charette"! Tutto ha continuato ad andare avanti con lo stesso brio, e abbiamo fatto la migliore accoglienza ad Allet, il nostro nuovo Colonnello.

 

zuavo pontificio

Sopra: ufficiale degli

zuavi pontifici.

 

Allet è svizzero, di nobilissima ed antichissima famiglia. Degno discendente dell'eroe di Ivry al quale Enrico IV diede la collana dei nostri Ordini sul campo di battaglia. Egli ha già alle spalle trent'anni di servizio nell'Esercito del Papa, e si è comportato magnificamente a Castelfidardo. Mons. de Mérode ha nominato il Capitano de Charette Capo di battaglione, e noi abbiamo applaudito a questa nomina. Qualcuno a Roma ha detto: "Ma è una bandiera che date agli zuavi"! "È vero - ha risposto Mons. de Mérode - ma una bandiera che è stata bucata dalle pallottole a Castelfidardo e che di conseguenza ha diritto di essere spiegata di fronte al sepolcro di San Pietro". Alla buon'ora! Questo sì che è parlare come Ministro dell'Esercito del Nostro Santo Padre Papa Pio IX».

 

Nel 1865, apparve ufficiale l'annuncio del ritiro delle truppe francesi da Roma. Ancora una volta, la figlia primogenita della Chiesa abbandonava il Papato al furore dei rivoluzionari e delle Società Segrete. A questa allarmante notizia, il Generale de La Moricière decise di partire immediatamente per la Città Eterna e di mettersi di nuovo alla testa del piccolo Esercito pontificio che si era affinato e fortificato. Certi corpi stranieri su cui non si poteva contare, erano ritornati nei loro rispettivi Paesi.

 

La piccola truppa degli zuavi pontifici aveva visto il suo effettivo giungere alla cifra di 1.500 uomini, sotto la direzione del Colonnello Allet e del Tenente Colonnello Charette. La gendarmeria formava un magnifico corpo di 4.500-5.000 soldati regolari e devoti alla Santa Sede. Con i dragoni e i cacciatori appiedati, l'Esercito pontificio formava un totale di 10.000 uomini perfettamente addestrati.

 

Sopra: ufficiale degli

zuavi pontifici.

 

È di questa truppa scelta che il Generale de La Moricière si preparava a riprendere il comando, quando la morte venne a toglierlo improvvisamente all'affetto dei suoi e al servizio della Chiesa cattolica. Durante gli anni di pace che il Papato ha attraversato tra il 1862 e il 1867, ci si è spesso posti la seguente domanda: «Che cosa fanno gli zuavi del Papa a Roma»? Troviamo la risposta a questo interrogativo in un discorso che Pio IX inviò ai nostri ufficiali il 27 dicembre 1865:

 

«Mi rallegro di sentir esprimere così bene i sentimenti di questo Esercito e del mondo cattolico per la nostra persona e per la Santa Sede. Voglio rispondere e penso a qualche usanza che abbiamo. È d'uso, il santo giorno di Natale, che benediciamo una spada. Essa dev'essere donata al principe che ha più meritato davanti alla Chiesa, e che se ne servirà per la causa della giustizia. Nel mezzo di tante grandi nazioni armate e di tante spade sguainate, guardo e vedo: vedo che questa spada della giustizia devo custodirla per me. Sono io che devo cingerla, ed è nelle vostre mani che la consegno. Siate fieri, camminate davanti a Dio a testa alta, siate pieni di fiducia tra gli uomini, perché siete voi, solo voi che portate la spada per la giustizia e per la verità, per la dignità e per la libertà del genere umano.

 

Sopra: S. S. Papa Pio IX

benedice le truppe pontificie.

 

Siete dunque armati contro questi disgraziati uomini che insanguinano le loro mani a profitto di cause ingiuste, sostegni dell'iniquità, nemici di Dio che sperano pazzamente di colpire, oppressori della Sua Chiesa e dei Suoi ministri. Vi racconterò un fatto di due ufficiali di due diversi eserciti; uno un Generale e l'altro un Capitano di Marina. Dopo che mi furono presentati, mi pregarono di porre il mio piede sulle loro spade stese a terra, affinché - dicevano - non le portassero che per una causa giusta. Il Generale è morto in una guerra di cui non ho sentito parlare, e ha custodito il suo giuramento.

 

pio IX con truppe pontificie

Sopra: Papa Pio IX con i suoi soldati. A sinistra, in ginocchio, il valoroso Tenente Colonnello Athanase de Charette con l'uniforme degli zuavi pontifici.

 

Quanto al marinaio, l'ho perso di vista da molto tempo. Spero viva ancora; spero ancor di più che si ricordi della promessa che ha fatto ai miei piedi e della benedizione ricevuta. Ricordate anche voi di non portare la spada che per la giustizia, e a quel punto di non temere alcun pericolo. Andate a testa alta e i vostri cuori avranno la pace. È già successo che qualcuno si sia lasciato trasportare da idee erronee e di menzogna o da illusioni di gioventù, e sia partito per servire in un certo esercito; ho visto lettere scritte da persone di questo genere, ho visto le loro madri in lacrime e i loro padri affranti.

 

truppe pontificie piazza san pietro

Sopra: le truppe pontificie

schierate in Piazza San Pietro.

 

Questi poveri figli scrivevano: "Ci siamo smarriti, siamo stati ingannati; chiedete perdono per me al Papa; la nostra coscienza non ci lascia riposo. Siamo nell'avvilimento e nella schiavitù”!... e anche nel peccato. Ma voi, con quale consolazione vedo il vostro rispetto, i vostri sentimenti d'amore e di devozione per questa Santa Sede! Portate la spada, conservate la spada per la difesa dalla causa più giusta, più santa che è quella della Chiesa di Gesù Cristo. Grazie a ciò, qualunque cosa accada, lo ripeto per la terza volta, camminate in sicurezza e siatene fieri.

 

papa pio IX e corte pontificia

Sopra: Papa Pio IX e i suoi collaboratori.

 

Oso dire che vi presenterete con fierezza al tribunale del Giudice Supremo davanti a cui dovranno comparire anche coloro che portano la spada per l'ingiustizia e per l'oppressore. Gradisco dunque con felicità l'espressione della vostra fedeltà. Ricevete in ricambio la mia benedizione che vi confermi in tutti questi buoni sentimenti; che vi irrobustisca nei pericoli e che vi accompagni per tutta la vostra vita».

 

Per «portare la spada per la giustizia e per la verità, per la dignità e la libertà del genere umano» e «camminare davanti a Dio» a testa alta, gli zuavi si preparavano a combattere le buone battaglie; facevano le manovre tutti i giorni, compivano delle marce forzate, simulavano delle battaglie, si accostavano, in una parola, all'arte militare, pur montando la guardia vicino al trono del Papa e pregando per i nemici della Chiesa. Gli zuavi crebbero così nella considerazione e nella stima dei cattolici: rendevano il bene per il male, praticando la carità cristiana verso coloro che vedevano la loro presenza di cattivo occhio.

 

L'invasione garibaldina

 

Il 15 settembre 1864, Napoleone III firmò una convenzione tra la Francia e l'Italia in virtù della quale l'imperatore dei francesi si impegnava a ritirare le sue truppe degli Stati Pontifici entro due anni, a patto che il Piemonte rispettasse il territorio della Santa Sede e non si opponesse all'organizzazione di un Esercito papale. Ciò equivaleva a consegnare il Papato prima di tutto nelle mani dei rivoluzionari, e secondariamente in quelle di Vittorio Emanuele II, come la Storia dimostrò in seguito.

 

Significava servirsi nuovamente della politica di raggiro inaugurata nel 1859. Era il regno delle brame d'Italia che si annunciava a breve scadenza. Infatti, il governo del Piemonte tendeva segretamente la mano a Giuseppe Garibaldi (1807-1882) 14, il capo dei rivoluzionari, pur protestando la sua devozione alla Santa Sede. Pio IX fece sentire la sua voce per denunciare la violazione del Trattato del 1864 e le flagranti ingiustizie di cui era oggetto.

 

giuseppe garibaldi

 

I cattolici di Francia tentarono, ma invano, di ottenere dall'imperatore una dilazione al ritiro delle sue truppe: la nostra antica madrepatria doveva continuare a scendere nell'abisso scavato dalla politica nefasta e anticristiana di Napoleone III. Alla fine dell’anno 1866, l'iniquità venne consumata: le truppe francesi lasciarono Roma. Alla loro partenza, Sua Santità Pio IX inviò loro queste ammirevoli parole:

 

«Andate, figli miei; partite con la mia benedizione e con il mio amore. Se vedete l'imperatore, ditegli che prego ogni giorno per lui. Si dice che la sua salute non sia molto buona; prego per la sua salute. Si dice che la sua anima non sia tranquilla; prego per la sua anima. La nazione francese è cristiana: anche il suo capo dev'essere cristiano. Non crediate di lasciarmi solo; mi rimane il buon Dio».

 

papa pio IX

 

Non incontrando più ostacoli alla loro ambizione, alla loro cupidigia e alla loro rabbia, le bande garibaldine si avventarono, nel 1867, sul territorio pontificio; saccheggiarono i villaggi e le casse municipali, profanarono i conventi e i santuari, e dilapidarono gli abitanti. Gli zuavi e i carabinieri si opposero alle loro scorrerie e li respinsero fino alla frontiera. I garibaldini passarono attraverso le truppe italiane che erano incaricate, in apparenza, di badare alla sicurezza degli Stati della Chiesa, ma che chiudevano gli occhi sui fatti e sui gesti dei rivoluzionari, i quali penetravano liberamente nel Piemonte per andare a reclutare degli uomini e a cercare delle munizioni che erano loro fornite dallo stesso governo di Vittorio Emanuele II.

 

La Storia ci fornisce alcune prove inconfutabili della complicità delle autorità italiane. Il teatro delle ostilità che vide in azione le bande garibaldine comprendeva tutta la provincia di Viterbo. Come si vede, si trattava di un vasto campo di battaglia. Per fare fronte al pericolo, gli zuavi pontifici e la gendarmeria papale furono costretti a dividersi in piccoli distaccamenti e a sostare in tutti i luoghi minacciati. Malgrado la sua inferiorità numerica, l'Esercito pontificio venne applaudito per i suoi brillanti fatti d'arme ad Acquapendente, a Bagnorea, a Nerola, a Farnese, a Valentano, a Monte Libretti e in quindici altre città o villaggi.

 

A Nerola, il Tenente Colonnello Charette sconfisse i garibaldini che erano tre volte più numerosi degli zuavi; anche se il suo cavallo fu ucciso, egli catturò diciotto prigionieri. A Farnese, il Sottotenente Étienne Dufournel trovò la morte, il 19 ottobre, nelle seguenti circostanze. Partì alle undici del mattino da Valentano per cacciare trecento garibaldini che si erano impossessati di Farnese; aveva solamente venti zuavi ai suoi ordini. Il Capitano di linea Sparacanna lo seguiva con una trentina dei suoi uomini.

 

étienne dufournel

Sopra: la morte del sottotenente étienne Dufournel,

ucciso dai garibaldini a Farnese.

 

Arrivando ad un chilometro da Farnese, la piccola guarnigione pontificia fu improvvisamente raggiunta da colpi di fucile, partiti da una grande casa occupata dai garibaldini. Il Sottotenente Dufournel estrasse allora la sua sciabola e con la lama si fece il segno della croce dicendo: «Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, avanti»! E si lanciò seguito dai suoi zuavi. I garibaldini non poterono resistere a questo assalto impetuoso; essi abbandonano la casa di cui si erano impossessati e fuggirono.

 

Gli zuavi si installarono nella stessa casa per deliberare, ma furono subito attaccati da un corpo di duecento garibaldini. Étienne Dufournel diede l'ordine di aprire la porta ed esclamò: «Cacciamoli alla baionetta». E si precipitò colpendo con la sua sciabola un garibaldino che era vicino alla porta; ma il colpo fu così violento che la lama si ruppe in due e gli sfuggì dalle mani. I garibaldini si gettarono su di lui e lo trafissero con quattordici colpi di baionetta. Tutto sembrava perduto per gli zuavi; ma non lo era affatto. Ferdinand de Charette (1837-1917), uno dei fratelli del nostro Tenente Colonnello, e alcuni altri zuavi accorsero in aiuto del loro ufficiale e aprirono una grande breccia tra i garibaldini che si diedero alla fuga.

 

ferdinand de charette

 

Il valoroso Sottotenente Dufournel, mortalmente ferito, fu trasportato immediatamente a Valentano, dove spirò l'indomani ringraziando Dio di avergli procurato la felicità di morire per la sua santa madre, la Chiesa cattolica. Questa triste notizia venne telegrafata a suo fratello Adéodat Dufournel , a quel tempo Capitano Aiutante Maggiore nella guarnigione di Roma. Il beneamato fratello arrivò la sera stessa a Valentano; prosternò il suo volto sulla bara e diede l'ordine di mandare a Roma le spoglie mortali del suo caro fratello.

 

adéodat dufournel

 

Dieci giorni più tardi, Adéodat rimase ferito durante l'attacco di Villa Crecchina, a Roma, e morì il 5 novembre. La mattina del suo trapasso, Adéodat aveva assistito alla santa Messa, dedicata alla confessione di San Pietro, celebrata da uno dei nostri cappellani, Padre de Gerlache. Finita la Messa, il sacerdote Gerlache si girò e trovò lo zuavo con la faccia a terra e gli chiese la causa dello sfavillio di tutta la sua figura: «Caro Padre, ho chiesto alla Santa Vergine la grazia di morire per la Chiesa». Questa grazia gli fu accordata la sera stessa. Ecco ciò che ci ha raccontato a proposito di Adéodat Dufournel, Clisson, che era accanto a lui quando cadde colpito da una pallottola in pieno petto:

 

«Mi trovavo in piazza San Pietro con quaranta uomini della mia compagnia, quando Dufournel venne e disse a Ledieu, il nostro Tenente: "Riunite i vostri uomini, andiamo non lontano da qui a vedere una Villa dove si dice che ci siano dei garibaldini". Ci fece dividere in manipoli di otto uomini, condotti ciascuno da un graduato incaricato di sistemarli attorno alla casa e di dirigere il fuoco. Erano circa le cinque e mezza di sera, e il buio era già sceso. Raggiungemmo presto la porta della Villa che dovevamo visitare.

 

Sopra: sacerdote assiste spiritualmente

uno zuavo pontificio ferito.

 

Non appena il primo zuavo ebbe percorso due o tre passi dall'entrata, i garibaldini si precipitarono uscendo dal giardino. Dufournel si lanciò gridando: "Avanti", e fu in quel momento che venne raggiunto da una pallottola. Comandavo il secondo gruppo; vedendo qualcuno cadere, stesi la mano, e fu solamente allora che riconobbi chi avevo tra le braccia. Aiutato da un uomo della mia compagnia, lo trasportai sulla strada, ed essendomi fermato a terra, lo appoggiai sulle mie ginocchia. Egli aprì gli occhi che aveva chiuso per un momento e mi disse prendendomi la mano: "È finita; sono morto..."».

 

Trasportato all'ospedale, Adéodat Dufournel rese la sua anima a Dio il 5 novembre. Étienne Dufournel aveva ventisette anni, e Adéodat ne aveva ventinove. I loro corpi riposano nel cimitero di San Lorenzo fuori le mura. Comprendendo l’immenso dolore che avrebbe provato il padre dei Dufournel in presenza di questi due tragici lutti, molto vicini l'uno all'altro, il nostro Santo Padre Pio IX gli scrisse per consolarlo: «Mi avete dato due soldati; vi rendo due santi».

 

Queste parole del successore di San Pietro valgono da sole più di tutti gli elogi che potremmo fare a questi due gloriosi martiri della fede. A Monte Libretti, il Tenente Arthur Guillemin (1838-1867) diede un'altra prova di valore e di eroismo degli zuavi.

 

arthur guillemin

 

Milleduecento garibaldini occupavano questa fortezza, costruita su di una montagna e dominante la strada. Guillemin, con i suoi novanta zuavi, non esitò a scalare la montagna nel bel mezzo di una grandine di pallottole e tentò di strappare alla baionetta questa cittadella chiusa e difesa da un nemico potente in numero, comandato da Menotti Garibaldi (1840-1903), figlio del famoso masnadiero.

 

menotti garibaldi

 

Gli zuavi non riuscirono a forzare le porte, ma i garibaldini, spaventati da tanto coraggio e da tanta audacia, evacuarono la cittadella durante la notte e fuggirono davanti ai soldati del Papa. Nel mezzo della mischia, Guillemin cadde per non più rialzarsi: Dio voleva una vittima pura. Questo valoroso era maturo per il cielo; infatti, quella mattina aveva detto al cappellano: «Mi confesserei volentieri, ma non ho niente sulla coscienza».

 

Questo eroe cristiano non aveva paura della morte. Quali prodigi ha compiuto questo piccolo pugno di soldati del Papa durante questo assalto omicida! Ad esempio, il caporale Pieter Jong (1842-1867) si gettò in mezzo ai garibaldini e, senza ricevere il più piccolo graffio, ne uccise e ferì quattordici. Morto di stanchezza, si gettò in ginocchio e aspettò la morte con calma, come i martiri del Colosseo. I garibaldini, furiosi come demoni, lo crivellarono di colpi di baionetta.

 

pieter jong

Sopra: a Montelibretti, il 13 ottobre 1867, l'eroico caporale olandese Pieter Jong stende quattordici nemici prima cadere ucciso dalle baionette garibaldine.

 

Questo giovanotto scrisse un giorno a sua madre:

 

«Quando i protestanti vi diranno che la Cattedra di San Pietro è tarlata, rispondete loro che ciò non è vero. Ditegli che Pieter Jong e suo cugino Guillaume l’hanno vista, e aggiungete che è solida».

 

pieter jong

 

Potremmo citare una folla di altri episodi simili, ma queste citazioni ritarderebbero inutilmente il nostro racconto storico. Diciamo inutilmente, perché possediamo la testimonianza di Pio IX e degli ufficiali di parecchi eserciti d'Europa sulle gloriose prodezze degli zuavi pontifici da Castelfidardo fino al loro congedo.

 

Sopra: a sinistra, il necrologio di Pieter Jong (notare la croce rovesciata, simbolo di San Pietro); a destra, un monumento costruito in suo onore.

 

La battaglia di Mentana

 

Mentre accadevano queste cose, Garibaldi, l'eremita rivoluzionario di Caprera, partì dalla sua isola, situata di fronte a Napoli, e si recò a Firenze. Lì, alla testa di 10.000 avventurieri e soldati, piombò come un uragano, il 3 novembre, su Mentana, una cittadina di circa 1.000 anime, a venti chilometri a Nord-Est di Roma. Un fatto storico importante si ricollega a questa borgata: è lì che l'illustre Carlo Magno (742-814) si incontrò con Papa San Leone III (150-216), quando l'Imperatore dei franchi si recò a Roma, nell'anno 800, per ricevere la corona imperiale.

 

carlo magno - papa san leone III

Sopra: Carlo Magno incoronato

imperatore da Papa San Leone III.

 

È bene che gli stranieri che visitano la Città Eterna vadano a Mentana per vedere il campo di battaglia dove l'armata pontificia ottenne, il 3 novembre 1867, una brillante vittoria su Garibaldi, il portastendardo dei rivoluzionari e delle Società Segrete, il Generale in capo del battaglione o del reggimento delle camicie rosse. All'avvicinarsi di questo implacabile nemico del Papato e della Chiesa cattolica, Roma tremò.

 

La popolazione era talmente terrificata che, apprendendo questa allarmante notizia, si preparò a fuggire verso le montagne. Un lutto universale avvolgeva la città dei sette colli. Il timore aveva raggelato il sangue nelle vene dei più intrepidi. Le chiese traboccavano di fedeli che imploravano la protezione dell'Altissimo. Dovunque, ad ogni angolo di strada e nei posti pubblici, si udivano gemiti e singhiozzi. Ancora alcune ore e Roma, e il Padre comune dei fedeli, sarebbero caduti nelle mani dei rivoluzionari, di un uomo senza cuore e senza onore.

 

garibaldi a mentana

 

Quali mali stavano per piombare sulla città dei Papi! Ma, consoliamoci; l'augusto vegliardo del Vaticano aveva pregato per la Chiesa e il Cielo aveva esaudito la sua preghiera. Pio IX benedisse il suo piccolo, ma valoroso Esercito, e gli impartì l'ordine di andare a combattere. Gli zuavi volarono a Mentana, fecero a pezzi le bande garibaldine e ritornano in Roma coperti di allori e di ferite.

 

Sopra: la battaglia di Mentana.

 

La Chiesa aveva appena aggiunto una nuova pagina eroica alla sua gloriosa storia, e, per la prima volta, il Canada aveva annaffiato con il suo sangue il suolo romano nella persona di Hugh Murray (1836-1874), del Quebec (che nello scontro perse una gamba), e di Alfred LaRocque (1845-1905), di Montreal, entrambi decorati con la Croce di Pio IX per il loro coraggio. Oggi dormono il loro ultimo sonno, prima sulla terra di Spagna e successivamente nel cimitero d'Onore alla nazionalità franco-canadese!

 

hugh murray - alfred larocque

 

croce al valore di pio IX

Sopra: la Croce al valore conferita da Pio IX a chi si distinse nella battaglia di Mentana. Su di essa è scritto in latino: «Hinc victoria» («Da ciò la vittoria»).

 

Il combattimento durò cinque ore. Garibaldi, molto più codardo che valoroso, si diede alla fuga durante la battaglia, lasciando le sue camicie rosse al loro triste destino. Vedendosi contorniato dagli zuavi, egli saltò sul suo cavallo e galoppò verso Monte Rotondo dicendo ai suoi ufficiali di raggiungerlo in quella città. Ma il fuggiasco usò talmente tanto gli speroni che il suo cavallo strinse il morso ai denti e non si fermò col suo cavallerizzo, beninteso, che quando ebbe superato la frontiera del Piemonte.

 

Gli ufficiali garibaldini tornarono a Monte Rotondo, seguendo l'ordine del loro Generale; ma, come abbiamo appena visto, il triste sire se l'era data a gambe. Apprendendo la fuga di questo «eroe», i vincitori e i vinti esclamarono: «Il Generale "mostrala-schiena" è scomparso». Fu Monte Rotondo che inventò questo nomignolo, e, bisogna confessarlo, è molto appropriato. Abbiamo raccontato sommariamente la battaglia di Mentana; ma non crediate che la vittoria sia stata guadagnata tanto velocemente e così facilmente. No, la lotta fu accanita e cruenta. Parecchi zuavi morirono vittime della loro devozione alla causa della Chiesa, e un gran numero di altri rimasero più o meno gravemente feriti.

 

garibaldi massone

Sopra: il Fratello Giuseppe Garibaldi con le insigne massoniche. A lato, una lapide eretta in suo onore dalla Gran Loggia dell'Uruguay. Ecco il vero volto dell'«eroe dei due mondi»: un massone nemico della Chiesa e dell'umanità.

garibaldi - roma o morte

Sopra: sul Gianicolo, a Roma, alla base della statua dedicata all'«eroe dei due mondi», la Massoneria italiana ha posto una lapide bronzea in onore del «Gran Maestro» nel centenario della sua nascita. Il motto «Roma o morte», attribuito a Garibaldi, non è che il rimaneggiamento del motto giacobino «La liberté ou la mort» («La libertà o la morte»).

 

La piccola truppa degli zuavi comprendeva solamente 3.000 uomini, mentre i garibaldini - come abbiamo già detto - erano circa 10.000. Dunque, la lotta era impari. Inoltre, il nemico occupava la città, stando al riparo dei vitigni e delle colline che cingono Mentana; la sua posizione era eccellente, mentre gli zuavi pontifici si trovavano in aperta campagna, non avendo altra difesa che il loro coraggio e la loro bravura, stimolati dal valoroso Tenente Colonnello Charette. Ecco l'eroe di Castelfidardo! Durante questa battaglia, il futuro Generale Charette si comportò come un degno figlio della Vandea.

 

charette a mentana

Sopra: Charette incita i suoi uomini

durante la battaglia di Mentana.

 

I garibaldini avevano stabilito il loro quartier generale nella vigna Santucci, a due passi da Mentana, ed era là che avevano concentrato il grosso del loro esercito. Questa vigna era cinta da un muro di mattoni. Era dunque un vero fortino per il nemico. Approfittando delle irregolarità del terreno, gli zuavi erano giunti ad un centinaio di passi da questa fortezza e si erano nascosti dietro i piccoli alberi disseminati qua e là, anche se sotto il fuoco nutrito degli esploratori. Charette capì che l'avanzata non era abbastanza rapida. Comandò dunque una carica alla baionetta.

 

battaglia di mentana

 

Gli zuavi si lanciarono in avanti come leoni furiosi; accolti da una grandine di pallottole, essi si fermarono ed esitarono in presenza di un così grande pericolo; ma non persero il coraggio. Gli zuavi non hanno mai dato questo triste spettacolo. Le pallottole continuavano di cadere fitte come mosche e cominciavano ad aprire dei vuoti nei ranghi pontifici. Charette comprese subito qual'era la situazione. Un solo momento di esitazione poteva far perdere la battaglia ed essere la causa della completa rovina dell'Esercito del Papa. Egli esclamò: «Avanti gli zuavi o mi faccio uccidere senza di voi».

 

E, agitando con la punta della sua spada un berretto rosso di un capo garibaldino che aveva appena messo fuori combattimento, si precipitò sul nemico. Le sue parole e il suo esempio elettrizzarono gli zuavi che si avventarono a passo di carica sulla vigna Santucci, balzando come cervi nella foresta. Niente poté resistere al loro slancio impetuoso: nulla fermò la loro veemente marcia; era come un torrente che rovescia tutto al suo passaggio.

 

helena petrovna blavatsky

Sopra: secondo una fonte più che attendibile (la Revue Internationale des Sociétés Secrètes, diretta da Mons. Ernest Jouin), Helena Petrovna Blavatsky (1831-1891), una medium e un'esoterista, vicina alla Massoneria e co-fondatrice della Società Teosofica (e in quanto tale nemica della Chiesa e del Papato), partecipò alla battaglia di Mentana. Colpita al torace da due pallottole e, creduta morta, essa venne gettata in una fossa comune. Venne salvata in extremis da alcuni «maestri» non ben identificati (Fonte).

 

Con un balzo arrivarono alla porta. Una nuova pioggia di pallottole inondò l'Esercito pontificio. Il Tenente Colonnello Charette e gli zuavi risposero gridando: «Viva il Papa! Viva Pio IX»! Superarono il muro, si avventarono sui garibaldini e li cacciarono a colpi di calcio di fucile e di sciabola. Diverse centinaia di garibaldini caddero per non rialzarsi più. Parecchie camicie rosse deposero le armi, si gettarono in ginocchio e chiesero clemenza gridando: «Viva Pio IX», e maledicendo il mostro di Caprera.

 

 

Con lo stesso slancio, gli zuavi, sempre guidati da Charette, penetrarono in Mentana e misero in rotta il resto dell'Esercito di Garibaldi. I rivoluzionari, misero le ali ai piedi e riguadagnarono la frontiera. Grazie ad un colpo di sublime audacia, il barone de Charette decise le sorti della battaglia e salvò Roma dal dominio sèttario. Questo autentico soldato cristiano diede così l'esempio di un coraggio da eroe e si distinse per atti degni degli antichi crociati. Egli solo poté battersi da prode, perché non temeva la morte.

 

Il Colonnello Allet non si mostrò meno coraggioso del suo Tenente Colonnello, anche se era meno focoso di lui; il suo sangue freddo eccitava l'ammirazione di tutti gli zuavi. Le pallottole non gli facevano curvare la testa. Ecco un episodio di coraggio che viene a sostegno della nostra tesi. Durante la battaglia, «papà» Allet - come lo chiamavamo nel Reggimento - stava davanti e un po' a lato del suo esercito e seguiva le diverse peripezie della mischia, pur fumando tranquillamente un sigaro, quando vide un garibaldino che lo prese di mira.

 

Senza lasciar trapelare la seppur minima emozione, il Colonnello Allet lo guardò mirare. Il garibaldino fece fuoco e... il Colonnello non ricevette alcuna ferita. Allora, voltandosi verso gli zuavi, Allet disse ridendo: «Oh! Che stupido! Mi prende di mira, tira e non mi uccide. Dammi la tua carabina», aggiunse rivolgendosi ad uno zuavo. Il nostro valoroso Colonnello imbracciò la carabina, mirò al garibaldino, aprì il fuoco e il soldato con la camicia rossa cadde morto stecchito.

 

bandiera pontificia

Sopra: bandiera pontificia.

 

Poi disse riconsegnando l'arma che aveva chiesto in prestito: «Tieni. È così che si mira nell'Esercito pontificio». Un tale sangue freddo e un tale coraggio non hanno bisogno di commenti. Furono gli zuavi pontifici, e non i soldati dell'Esercito francese, come oggi si insegna falsamente nei libri di Storia, che hanno sconfitto i garibaldini in quella giornata memorabile. Ecco, a questo proposito, la testimonianza di un francese presente a questa battaglia:

 

«Verso le tre e mezza, i francesi arrivarono davanti alle mura di Mentana, annunciandosi in modo significativo con una scarica di cinque minuti. Che cosa spaventosa questi fucili "chassepot"! Sembrava di sentire una rullio di tamburi. Era la prima volta che i nostri soldati si servivano di queste armi, e sono felice che siano state sperimentate sui nemici del Papato».

 

chassepot

Sopra: un esemplare del fucile chassepot.

 

Certo! Lungi da noi il pensiero di sminuire il ruolo dell'Esercito francese e di togliergli la più piccola briciola di gloria acquistata. Ma è bene far appassire l'ingiustizia di coloro che si ostinano ad attribuirgli tutto l'onore di quella giornata. La bandiera francese fu come una minaccia sul campo di battaglia e gettò lo spavento nel cuore dei garibaldini; la sua presenza tenne lontani i battaglioni piemontesi accampati ad una dozzina di chilometri dal campo di battaglia: infine, grazie alle abili manovre eseguite dai francesi nei dintorni di Monte Rotondo e nella pianura, i rinforzi nemici vennero intercettati. Ma, ancora una volta, tutte le posizioni nemiche erano già state travolte quando i francesi giunsero per prendere parte attiva alla lotta.

 

«I vinti giudicarono meno umiliante addebitare la loro disfatta alle meraviglie dei "chassepot", e questo costituì per tutti i nemici della Chiesa una sorta di risarcimento che privò l'armata pontificia di un trionfo acquistato dal suo coraggio».

 

Sopra: da questa cartina del Lazio e dalla posizione geografica di Mentana si evince che ormai si combatteva alle porte di Roma e che l'accerchiamento della Città Eterna era ormai una questione di tempo.

 

manifesto di mentana

Sopra: manifesto commemorativo affisso nel 1888 per ricordare la battaglia di Mentana. Si parla con disprezzo delle «orde pontificie» e del Papato come di un «istituto inumano, antisociale, antinazionale».

 

Il 20 settembre 1870

 

Nel 1860, all'indomani dell'invasione della Romagna, Charles de Montalembert (1810-1870) 15 scrisse:

 

«La commedia si è svolta in tre atti: la diffamazione, l'usurpazione e il voto; ogni atto ha avuto i suoi attori: gli scrittori, i fanti e gli elettori; ormai, si tratta di un procedimento conosciuto. Si denuncia un sovrano. Il suo governo è imperfetto e inammissibile; i suoi sudditi sono scontenti, oppressi ed esasperati. Non governa più che grazie alle armi straniere, manca di forza morale, di forza materiale, è perduto. Ecco il sovrano diffamato, e così la denuncia piove dall'alto. Tutte le mattine, duemila giornalisti ne ripetono a due milioni di lettori l'eco altisonante. D'un colpo si afferma che questo sovrano così debole è minaccioso, che pensa ad attaccare, che raggruppa alcuni soldati; faceva pietà, e ora fa paura... "Prendiamo le nostre precauzioni, violiamo le sue frontiere"! È il secondo atto: si invade il suo territorio. Poi, una volta padroni del paese, si consultano i sudditi: "Siete felici"? "No". "Volete diventarlo"? "Sì". La disgrazia è Pio IX; la felicità, sarà Vittorio Emanuele. "Viva Vittorio Emanuele"! La commedia è finita, cala il sipario; ci si addormenta romani e ci si sveglia piemontesi, ma sempre contribuenti, e per di più coscritti».

 

charles de montalembert

 

È la stessa commedia che venne messa in scena nel 1870. Il conte Gustavo Ponza di San Martino (1810-1876) si incaricò di recitare il primo atto portando una lettera al Papa, un monumento di ipocrisia:

 

 

una lettera piena di bugie

 

«Santo Padre, con affetto filiale, con la fede di un cattolico, con la lealtà di un re, con un sentimento di italiano, mi rivolgo ancora, come ebbi a farlo una volta, al cuore di Vostra Santità. Un temporale pieno di pericoli minaccia l'Europa. Fomentando la guerra che affligge il centro del continente, il partito della Rivoluzione cosmopolita aumenta di audacia e di sfacciataggine e prepara, specialmente in Italia e nelle province governate da Vostra Santità, gli ultimi colpi contro la monarchia e il Papato.

 

So, Santo Padre, che la grandezza della Vostra anima non cederebbe mai alla grandezza degli avvenimenti, ma io, re cattolico e re italiano, e, come tale, custode e garante, per disposizione della divina Provvidenza e per volontà della nazione, dei destini di tutti gli italiani, sento il dovere di prendere, di fronte all'Europa e alla cattolicità, la responsabilità del mantenimento dell'ordine nella Penisola e della Santa Sede. Ora, Santo Padre, lo stato d'animo delle popolazioni governate da Vostra Santità e la presenza tra esse di truppe straniere venute da luoghi diversi con intenzioni diverse, sono un focolare di agitazione e di pericoli evidenti per tutti.

 

gustavo ponza di san martino

 

Il caso o l'effervescenza delle passioni può condurre alla violenza e ad uno spargimento di sangue che è mio e Vostro dovere, Santo Padre, evitare ed impedire. Vedo l'ineluttabile necessità, per la sicurezza dell'Italia e della Santa Sede, che le mie truppe, già preposte alla guardia delle frontiere, si avvicinino ed occupino le posizioni che saranno indispensabili alla sicurezza di Vostra Santità e al mantenimento dell'ordine. Spero che Vostra Santità non veda un atto di ostilità in questa misura di precauzione.

 

Il mio governo e le mie forze si limiteranno assolutamente ad un'azione conservatrice e tutelare dei diritti facilmente conciliabili delle popolazioni romane con l'inviolabilità del Sommo Pontefice, e della sua autorità spirituale con l'indipendenza della Santa Sede. Se Vostra Santità, come non dubito, e come il suo carattere sacro e la bontà della sua anima mi danno il diritto di sperarlo, è ispirata da un desiderio uguale al mio di evitare ogni conflitto e di sfuggire al pericolo della violenza, potrà prendere con il conte Ponza di San Martino, che Le consegnerà questa lettera e che è munito delle opportune istruzioni dal mio governo, gli accordi che sembreranno meglio condurre allo scopo desiderato.

 

Sopra: Papa Pio IX a colloquio

con Gustavo Ponza di San Martino.

 

Che Vostra Santità mi permetta di sperare, sebbene il momento attuale, solenne sia per l'Italia che per la Chiesa e il Papato, che renderà efficace lo spirito di benevolenza che non ha mai saputo spegnersi nel Vostro cuore, verso questa terra che è anche la Vostra patria, e i sentimenti di conciliazione che mi sono sempre impegnato con un'infaticabile perseveranza a tradurre in atti, affinché, pur soddisfacendo alle inspirazioni nazionali, il capo della cattolicità, circondato dalla devozione delle popolazioni italiane, conservi sulle rive del Tevere una sede gloriosa e indipendente da ogni sovranità umana.

 

vittorio emanuele II

Sopra: Vittorio Emanuele II, il re sabaudo «umilissimo, ubbidientissimo e devotissimo», due settimane dopo questa lettera piena di falsità e doppiezza, con «affetto filiale» circondò Roma e si appropriò con la forza di ciò che rimaneva degli Stati pontifici. Per giungere a questo risultato egli si era precedentemente avvalso dei servizi di un avventuriero (oltre tutto repubblicano...) come Garibaldi, e della complicità della Massoneria. Come si usa dire in questi casi, il re «cavalcò la tigre» credendo ingenuamente di potersene servire per i proprî scopi. Qualche decennio dopo, le società segrete e i politici liberali di cui la casa reale si era circondata cacciarono i Savoia dall'Italia... Dio non paga al sabato, ma paga.

 

Vostra Santità, liberando Roma dalle truppe straniere e togliendo il continuo pericolo di essere il campo di battaglia degli spiriti eccessivi, avrà compiuto un'opera meravigliosa, reso la pace alla Chiesa, e mostrato all'Europa spaventata dagli orrori della guerra, come si possono vincere grandi battaglie e ottenere vittorie immortali con un atto di giustizia e con una sola parola d'affetto.

 

Prego Vostra Santità di volere cortesemente accordarmi la Sua benedizione apostolica, e rinnovo a Vostra Santità l'espressione dei sentimenti del mio profondo rispetto. Firenze, 8 settembre 1870. A Vostra Santità, l'umilissimo, ubbidientissimo e devotissimo figlio, Vittorio Emanuele».

 

La diffamazione venne consumata da un re; ma fu respinta con indignazione da un altro Re. Pio IX rispose a Ponza, dopo avere preso conoscenza di queste sfrontate menzogne e di queste pretese espressioni di devozione alla Chiesa:

 

«A che cosa serve questo sforzo di inutile ipocrisia? Non era meglio dirmi semplicemente che mi si vuole privare del mio regno»?

 

Dopo che Ponza aveva commentato favorevolmente la lettera di Vittorio Emanuele II, il Papa gli replicò:

 

«Ma insomma, parlate sempre delle aspirazioni dei romani! Bene! Potete vedere con i vostri occhi come sono tranquilli».

 

 

Dunque, il conte Ponza si trovò in presenza di una smentita formale. Quando Pio IX congedò il «commissario generale degli Stati romani», gli disse: «Posso cedere alla violenza, ma aderire all'ingiustizia... mai»! Il conte Ponza di San Martino era giunto a Roma il 9 settembre; partì l'11 settembre con la seguente lettera che Pio IX inviò a Vittorio Emanuele II, il «re galantuomo».

 

«A re Vittorio Emanuele. Sire, il conte Ponza di San Martino mi ha consegnato una lettera che Vostra Maestà mi ha inviato; ma essa non è degna di un figlio affettuoso che si gloria di professare la fede cattolica e vorrebbe vantare una reale lealtà. Non entro nei dettagli della lettera, per non rinnovare il dolore che la sua prima lettura mi ha causato. Benedico Dio che ha permesso a Vostra Maestà di colmare di amarezza l'ultima parte della mia vita. Del resto, non posso ammettere certe richieste, né conformarmi a certi principî contenuti in questa lettera. Invoco nuovamente Dio, e rimetto nelle Sue mani la mia causa che è interamente la Sua. Lo prego di accordare numerose grazie a Vostra Maestà, di liberarla dai pericoli e di dispensare le misericordie di cui ha bisogno. Dal Vaticano, l'11 settembre 1870. Pio PP. IX».

 

Ecco come parla il Re diffamato, ed è così che si conclude il primo atto della commedia. Passiamo ora al secondo atto, vale a dire all'usurpazione. Lo stesso giorno in cui il conte Ponza di San Martino lasciò Roma, le truppe piemontesi superarono la frontiera romana e si impossessarono di Bagnorea e di Montefiascone (Viterbo), che gli zuavi avevano evacuato alcuni istanti prima.

 

L'invasione era iniziata, e ciò senza alcuna ragione e senza nessuna dichiarazione di guerra. Più che di invasione, si dovrebbe parlare di furto di territorio. Vittorio Emanuele II rappresenta il leone della favola: «Mi chiamo leone; di conseguenza, mi impossesso del regno del Papa». E il nuovo Giuda inviò il Luogotenente Generale Raffaele Cadorna (1815-1897) ad eseguire i suoi iniqui ordini. Cadorna penetrò allora negli Stati della Chiesa con cinque divisioni e una riserva, formando tre corpi d'armata. Le forze piemontesi si ripartivano nel modo seguente: ottanta battaglioni di fanteria, diciassette plotoni di bersaglieri; centoquattordici pezzi d'artiglieria, cinque compagnie da traino e una compagnia del genio pontieri.

 

generale raffaele cadorna

 

L'effettivo dell'Esercito era di 81.478 uomini. Avendo tre divisioni al suo comando, Cadorna si avvicinò di lato alle Legazioni e alla Sabina. Il Generale Nino Bixio (1821-1873) 16, alla sua destra, con la 2ª divisione, minacciava le frontiere dal lato della Toscana, e il Generale Diego Angioletti (1822-1905), alla sinistra, lasciò il regno di Napoli con il 3º corpo d'armata.

 

nino bixio

 

Prima ancora di avvertire il Papa, l'Esercito piemontese aveva preso posizione alla frontiera; il 7 settembre, Bixio aveva il suo quartier generale ad Orvieto; Cadorna a Rieti; il Generale Gustavo Mazé de la Roche (1824-1886) a Terni; il Genarale Annibale Ferrero (1839-1902) a Narni.

 

generale gustavo mazé de la roche - genarale annibale ferrero

 

Angioletti a Cassino. Mentre questi diversi corpi d'armata si avvicinavano a Roma, una flotta di dodici navi da guerra, comandate dall'Ammiraglio Del Carretto, si diresse verso il porto di Civitavecchia. Questa era la posizione dell'Esercito piemontese all'inizio dell'invasione. Roma era dunque circondata da tutte parti. Quali mezzi o quali forze aveva Pio IX a sua disposizione per difendere un territorio di 241 chilometri di lunghezza e 72 chilometri di larghezza? 13.684 uomini - cifra ufficiale - disseminati nelle cinque province romane (Velletri, Frosinone, Viterbo, Civitavecchia e Comarca).

 

Numerosi battaglioni si trovavano a Roma per proteggere il Santo Padre. Difendere cinque province, con un pugno di soldati, contro tre corpi d'armata, sarebbe stata una follia e un sacrificio inutile di vite. Anche il Generale Hermann Kanzler (1827-1888), pro-ministro svizzero dell'Esercito, diede l'ordine di abbandonare le province all'avvicinarsi del nemico e di convergere su Roma, pur lasciando ai comandanti la libertà di opporre un'«onorevole resistenza».

 

generale hermann kanzler

 

Come vedremo nel corso di questo racconto, quest'ordine venne puntualmente eseguito. Il ritiro degli zuavi dalla provincia di Viterbo, sotto la direzione del Tenente Colonnello Charette, è stata una delle prodezze più gloriose e più ardite compiute dal nostro reggimento. Ne faremo dunque una narrazione più fedele possibile, poggiando sulla testimonianza dei nostri compagni della 6ª compagnia del 4º battaglione cui abbiamo avuto l'onore di appartenere, e su quello del conte de Beaufort, testimone oculare del furto commesso da Vittorio Emanuele II.

 

Come abbiamo detto precedentemente, l'11 settembre, Bixio, l'ex Tenente di Garibaldi, si impossessò subito di Bagnorea. Questa città era difesa solamente da venti zuavi comandati dal Tenente Baudouin Kervyn. Quest'ultimo, avvertito alle tre da un dispaccio di Capraccia che il nemico si stava avvicinando, decise di ripiegare su Montefiascone; ma, ingannato da un falso rapporto, ritardò la sua partenza e, sorpreso dai piemontesi, fu fatto prigioniero con il suo distaccamento.

 

Racconta il de Beaufort, che Kervyn e la truppa vennero poi condotti per tutt'Italia, esposti ai peggiori trattamenti inferti dai loro vincitori e in balia degli insulti del popolo vigliacco. I piemontesi salirono a Montefiascone credendo di sorprendere gli zuavi; ma il Comandante Hervé de Saisy (1833-1904), che aveva ricevuto, la vigilia, l'ordine di ripiegare su Viterbo con le sue due compagnie di zuavi, «all'ultimo minuto e senza combattere», lasciò questa città alle dieci di sera mentre l'Esercito piemontese penetrò in Montefiascone da una porta opposta, e giunse a Viterbo la stessa notte, senza incontrare il nemico durante la ritirata.

 

hervé de saisy

 

Del resto, de Saisy aveva preso le sue misure per proteggere la sua piccola colonna fiancheggiandola con degli esploratori. L'arrivo di queste due compagnie di zuavi a Viterbo venne salutato al grido di «Viva Pio IX»! Bixio trascorse la notte a Montefiascone. L'indomani mattina, tolse il campo, e, per tagliare la ritirata a Charette e ai suoi zuavi, che in quel momento si trovavano a Viterbo, anziché marciare su quest'ultima città, prese una strada a destra e si diresse su Civitavecchia per la via di Toscanella e di Corneto, lasciando un battaglione dietro di lui, per circondare il piccolo esercito pontificio comandato dal nostro valoroso Tenente Colonnello.

 

Il barone de Charette, che era stato informato del passo del conte Ponza di San Martino, aveva avvertito tutti gli avamposti di tenersi pronti a ripiegare in caso di attacco; e tutti i distaccamenti avevano ubbidito ai suoi ordini. I duemila uomini scaglionati nella provincia di Viterbo, erano dunque riuniti sotto il comando dell'eroe di Mentana. Ma quale decisione prendere in questa situazione pericolosa? Combattere o ritirarsi? Non c'era via d'uscita. Dopo avere riflettuto a lungo, Charette decise di arretrare. Per eseguire questa audace manovra, Charette non aveva più la scelta delle strade.

 

Cadorna doveva necessariamente bloccare la via più diretta: quella di Ronciglione e di Monterosi. Non restava dunque che quella di Civitavecchia per Vetralla; era come percorrere la base di un triangolo di cui Roma occupava il vertice. Ma bisognava passare da là per non cadere nelle mani del nemico e privare così Roma dell'élite delle sue truppe. Dopo aver preso questa decisione, Charette si preparò alla ritirata. Ma per non dare l'idea di fuggire davanti all'Esercito piemontese e lasciargli il campo libero, prese la risoluzione di fortificarsi a Viterbo e di aspettare Bixio.

 

Il 12, alle sette di mattina, le barricate e gli altri lavori di fortificazione erano terminati. In una parola, la città era stata messa in stato di difesa. Charette, collocato nell'osservatorio costruito in cima alla torre della caserma, esaminò i movimenti del nemico, che si era accampato sulle alture di Montefiascone e a Bagnorea, situati a destra di Montefiascone e a circa dodici chilometri da Viterbo. Verso le dieci e mezza, il Comandante degli zuavi vide una colonna piemontese togliere il campo e dirigersi verso Toscanella e Carcanello allo scopo evidente di tagliare la strada di Corneto, e un'altra colonna marciare su Viterbo.

 

fratelli charette

Sopra: i fratelli de Charette de la Contrie. I primi tre (da destra) si arruolarono negli zuavi, mentre (quello a sinistra) era un dragone pontificio. I tre zuavi vennero soprannominati «i moschettieri del Papa».

 

Allo stesso tempo, alcuni contadini giunsero a Viterbo e avvertirono Charette che due colonne del corpo di Cadorna si avvicinavano dalla parte di Orte e di Soriano. Non erano passati alcuni minuti che gli zuavi videro distintamente il nemico sulla strada di Ronciglione. Non era più possibile ritardare la partenza senza essere completamente investiti. Charette riunì allora il suo consiglio di guerra, ed era risolto ad evacuare immediatamente Viterbo. Alcuni ordini furono impartiti agli ufficiali, e le truppe pontificie abbandonarono Viterbo e si ritirarono nella tenuta Polidori, a tre chilometri da questa città.

 

Gli abitanti salutarono la loro partenza al grido di: «Coraggio, zuavi! Coraggio, zuavi! Coraggio, figli! Coraggio, figli»! Ecco un'altra smentita alla lettera di Vittorio Emanuele II. Tutta la piccola truppa pontificia si riunì alla tenuta Polidori, eccetto alcune vedette e dodici uomini posti di guardia alla stazione della città che erano stati fatti prigionieri, in quanto l'ordine di ripiegare era stato mal compreso. Il Tenente Colonnello Charette diede l'ordine di marciare in avanti. Le truppe pontificie presero la strada di Vetralla dove arrivarono alle sei di sera.

 

athanase de charette de la contrie

Sopra: un'altra splendida fotografia del Tenente Colonnello degli zuavi pontifici Athanase de Charette de la Contrie.

 

Due ore prima di raggiungere questa cittadina, alcuni cavallerizzi piemontesi avevano raggiunto la truppa del Papa; ma furono obbligati a fare dietro front vedendo l'atteggiamento minaccioso degli zuavi. Il 13 settembre, alle sei del mattino, la piccola truppa pontificia lasciò Vetralla e si diresse, nonostante il caldo soffocante, verso la cittadina di Monte Romano, dove fece la sua entrata alle dieci, in mezzo alle acclamazioni della popolazione. Charette accordò alcune ore di riposo ai suoi soldati prima di dare inizio alla celebre ritirata di Viterbo propriamente detta.

 

Gli uomini cadevano dalla stanchezza; una sete divorante li bruciava. E tuttavia erano ancora pieni di coraggio. Di tanto in tanto, li si sentiva gridare: «Viva Pio IX»! Dopo avere recuperate le loro forze, gli zuavi si misero in marcia per andare a Civitavecchia; ma la strada che conduce da Monte Romano a Corneto, da cui dovevano passare, era già stata occupata dai piemontesi. Cosa decise Charette per uscire da questo vicolo cieco? Per rispondere a questa domanda, lasciamo la parola a Beaufort:

 

«Tentare di forzare il blocco sarebbe stato temerario, vista l'inferiorità numerica delle truppe romane, e l'ottima posizione di Bixio a Corneto. Se si fosse stati obbligati a combattere per aprirsi la strada, meglio valeva essere più vicini possibile a Civitavecchia, dove c'erano dei rinforzi e un asilo; bisognava dunque ripiegare al più presto su Civitavecchia.

 

Per fare ciò, c'era solamente una strada lunga e difficile, che passava vicino a montagne scoscese e ignote, e ciò avrebbe dovuto avvenire durante la notte... Il tempo stringeva. La truppa, nel frattempo, si era un po' riposata. Charette disse alcune parole ai suoi soldati, e, senza avere il tempo di finire il pasto iniziato, malgrado un caldo opprimente e al grido di "Viva Pio IX", iniziò, verso le tre e mezza, una ritirata di dodici ore che finì solamente a Civitavecchia, e che avrebbe avuto l’ammirazione che meritava se fosse avvenuta in un altro momento storico.

 

papa pio IX

 

A qualche distanza da Monte Romano, si dovette lasciare la grande strada per girare a sinistra alla trasversale. La strada presa, in cattive condizioni fin dall'inizio, era tuttavia praticabile. Dopo alcuni chilometri, cessò completamente. Al guado, con l'acqua fino al di sopra del ginocchio, venne superato il piccolo fiume del Mignone; poi, si trovarono in piena montagna, in sentieri buoni solamente per le bestie da soma.

 

E tuttavia era l'unica strada possibile per la colonna; bisognava fare passare l'artiglieria; e col giorno che scemava, aumentavano le difficoltà. Nonostante le discese in fondo a burroni scoscesi, le salite sui dirupi, le svolte brusche che aggiravano sporgenze di rocce, le difficoltà causate dal suolo aspro e accidentato, irto di pietre sporgenti, essi superarono tutti gli ostacoli.

 

zuavi pontifici

 

Si avanzava anche dove la marcia sembrava impossibile; quando i due cannoni e la mitragliatrice non poterono passare, li si legò con delle corde e li si issò a forza di braccia. Questa manovra venne effettuata per due volte; si dovettero spostare separatamente i cassettoni e i pezzi d'artiglieria. Altrove, occorse la forza di sei cavalli da traino e di una ventina di soldati. Per i bagagli, occorse fare la stessa cosa, e si dovette talvolta trasportarli sostituendo in qualche modo i carri.

 

Uno o due di questi si ruppero e vennero abbandonati; gli altri passarono, così come i cannoni, grazie agli sforzi sostenuti della truppa. Gli uomini cadevano dalla stanchezza, ma nessuno si lamentava, e il coraggio diede loro una nuova forza, mantenuta dallo spirito buono di tutti e dall'energia che seppero infondere il Tenente Colonnello Charette e il Tenente d'artiglieria Maldura.

 

zuavo pontificio - bersagliere

Sopra: a sinistra, zuavo pontificio canadese;

a destra, ufficiale dei bersaglieri.

 

Bisognava correre altri rischi: una volta, nella notte, si videro dalla cima del monte i fuochi di numerosi bivacchi nemici tra Corneto e Civitavecchia. Erano ancora lontani; ma la strada si avvicinava. Dopo molti sforzi, continuando questa marcia notturna, essi arrivarono ad Allumiera e raggiunsero la strada che va da Bracciano a Civitavecchia.

 

Ma divenne ben presto evidente che continuando su quella strada si sarebbe caduti nel bel mezzo dei piemontesi: si era così vicini che non era certo che si potesse evitare il loro incontro. Per un istante si fece una pausa; Charette diede sottovoce le istruzioni agli ufficiali in caso di attacco, e scambiò con essi una stretta di mano d'addio; poi, lasciando di nuovo la strada aperta, che seguirono solo i bagagli e la truppa che doveva custodirli, si passò attraverso i campi, trascinando ancora una volta i cannoni su un suolo cosparso di rocce appuntite, muovendosi in fila indiana e rapidamente nella direzione di Civitavecchia.

 

 

Tanti sforzi furono ricompensati, e il nemico non si accorse della vicinanza degli zuavi pontifici. Tuttavia, Bixio si riprometteva di tagliar loro la ritirata. Con le sue truppe aveva occupato la strada che va da Corneto a Monte Romano, e il ponte sul Mignone, dove li aspettava. Ciò che non aveva previsto, erano le strade impraticabili che sottrassero gli zuavi pontifici alla sua trappola.

 

Verso le due della mattina, la piccola truppa romana sentì un rumore lontano; era quello del mare. Si avvicinava a Civitavecchia. Tuttavia, non si era ancora in salvo, e alcuni razzi che salirono nel cielo buio della città, e il cui significato era sconosciuto, furono fonte di inquietudini. Ma queste non furono confermate. Fortunatamente la marcia proseguì; alle tre, l'avanguardia raggiunse le porte della città, e il resto della colonna arrivò alle tre e mezza a Civitavecchia.

 

zuavo pontificio

 

Si era al sicuro... Mentre le truppe della provincia di Viterbo effettuarono felicemente questa ritirata così pericolosa, il Generale Bixio, che abbiamo lasciato a Corneto con la sua divisione, aspettava ancora la colonna pontificia. Rimase lì fino alla sera del 14. Quel giorno, tuttavia, aveva spinto la sua cavalleria e i bersaglieri fino alle porte di Civitavecchia, e avendo infine appreso che chi aspettava gli era già scappato, non pensò più che ad impossessarsi di Civitavecchia. Essendo la flotta italiana venuta nella stessa giornata sotto Corneto, a Porto Clementino, Bixio si recò, verso le due e mezza, a bordo del vascello ammiraglio "Roma" a concertarsi con l'Ammiraglio Del Carretto per l'assedio del posto, e, il 15, stabilì il suo quartier generale a Torre Orlando, davanti a Civitavecchia.

 

Nello stesso tempo, (nel momento in cui Bixio era a colloquio col Contrammiraglio Del Carretto), il Tenente Colonnello Charette partì con le sue truppe. Il treno che prese era il treno ordinario che andava da Civitavecchia a Roma. Tra la prima di queste due città e una stazione vicina, ci fu un istante di serio timore. La ferrovia costeggiava molto da vicino la spiaggia e si vide a poca distanza da terra una fregata nemica che sembrava pronta ad aprire il fuoco sul treno al suo passaggio.

 

onorificienza pontificia

Sopra: onorificenza pontificia.

 

Il pericolo era reale e grande; ma se ne ebbe solamente il timore; forse, la presenza di viaggiatori civili nel convoglio e la certezza di tirare su di essi oltre che sulle truppe fermarono la fregata italiana. O forse essa ignorava che i nostri soldati fossero sul treno, e credette che avrebbero preso un treno speciale, o non ebbe ordini in proposito. Comunque sia, il convoglio proseguì la sua marcia e fu presto fuori tiro; finalmente il treno giunse fino alle porte di Roma.

 

Al ponte sul Tevere, il treno si fermò; il triste ricordo della caserma Serristori 17 e dei tentativi analoghi fecero temere che mani criminali avessero tentato di minare il ponte per farlo saltare al momento del passaggio delle truppe. Queste scesero dal treno che proseguì senza di esse, e, seguendo la riva destra, entrarono in Roma da Porta Portese. L'ansia sulla sorte dei civili non era inferiore a Roma che a Civitavecchia; la gioia di rivederli fu identica.

 

garibaldi - mazzini - vittorio emanuele II - cavour

Sopra: Garibaldi, Mazzini, Vittorio Emanuele II e Cavour; ecco delinquenti e i ladroni a cui l'Italia post-unitaria ha dedicato monumenti, strade, piazze e palazzi.

 

Il pro-ministro dell'Esercito li aspettava alla Porta con la sua famiglia; e fu nel mezzo degli "Evviva" e delle acclamazioni alle truppe da parte dei romani sistemati vicino alle mura e dal popolo sparso per le strade, che i nostri soldati di Viterbo fecero la loro entrata nella capitale, dove presto dovettero recarsi nelle stazioni di combattimento che erano state loro assegnate».

 

I giorni seguenti furono dedicati ai preparativi di difesa. Quasi tutto l'Esercito pontificio aveva potuto raggiungere Roma. Alcuni distaccamenti isolati, ma poco numerosi, erano stati fatti prigionieri. I soldati pontifici erano in assetto di battaglia, intorno a Roma, e vicino alle mura. Il 20 settembre, l'Esercito piemontese circondò la Città Eterna in un cerchio di fuoco. Il Generale Cadorna aveva disposto l'11ª e la 12ª divisione e la riserva a Nord-Est della città, di fronte a Porta Pia e alla Salaria; Ferrero si trovava ad Est, vicino a Porta Maggiore; Angioletti doveva attaccare da Sud, verso Porta Latina, e Bixio era incaricato di schierarsi di fronte a Trastevere.

 

Alle cinque e dieci, la prima cannonata fu tirata dal nemico, e una palla colpì il muro a destra di Porta Pia. Era il segnale dell'attacco. Presto la sparatoria divenne generale. I piemontesi vennero falciati, mentre i pontifici ebbero solamente perdite insignificanti. Malgrado l'attiva e coraggiosa difesa degli assediati, l'Esercito nemico praticò una breccia nelle mura che rasentano Porta Pia.

 

Sopra: l'artiglieria piemontese

spara sulle mura di Roma.

 

Per tre volte i piemontesi tentarono di penetrare in Roma da questa breccia, ma ad ogni attacco i bersaglieri, i migliori soldati delle truppe assedianti, vennero respinti dagli zuavi che eseguirono degli assalti alla baionetta più che brillanti. Il Generale Kanzler inviò un rapporto al Santo Padre su ciò che stava accadendo a Porta Pia.

 

Sopra: la breccia di Porta Pia.

 

Il Papa, onde evitare un ulteriore spargimento di sangue, inalberò la bandiera bianca alle dieci e dieci minuti. L'Esercito pontificio ubbidì al successore di San Pietro; cessò il combattimento e si diresse verso la città leonina. Roma capitolò e cadde nelle mani del Piemonte. Non vi parleremo delle scene disgustose e indegne messe in atto da un popolo civilizzato che ebbero luogo dopo la capitolazione.

 

porta pia

Sopra: i bersaglieri entrano attraverso la breccia

nella Città Eterna. Il sacrilegio è compiuto.

 

I piemontesi hanno mancato a tutte le leggi dell'onore e si sono comportati come i barbari dei primi secoli della Chiesa. Le nostre perdite, in quella giornata - gloriosa per i soldati del Papa - ammontarono a sedici morti e a cinquantotto feriti; quelle del nemico superarono le mille unità, tra morti e feriti. Un scrittore tedesco ha potuto affermare:

 

«Le perdita del nemico davanti a Roma, il 20 settembre, ammontano circa a duemila uomini uccisi o feriti. So ciò che dico e perché lo dico; so anche che il Piemonte ha parlato mendacemente sui suoi giornali di piccole perdite; il mio calcolo poggia sulle dichiarazioni stesse dei soldati nemici».

 

breccia porta pia

 

Ritorniamo indietro di alcune ore e vediamo ciò che fece Pio IX mentre i piemontesi bombardavano Roma. Dopo aver detto Messa alle sette e mezza, ed essere restato in preghiera fin verso le nove, il Papa passò nella sua biblioteca particolare, dove erano riuniti i diciassette membri del corpo diplomatico.

 

pio IX - messa

 

Pio IX disse alcune parole agli ambasciatori, ma la sua voce fu intervallata da singhiozzi. Ecco alcune delle sue toccanti parole:

 

«Ho scritto al re; non so se ha ricevuto la mia lettera. L'avevo indirizzata al suo Ministro degli Esteri. Penso che gli sarà giunta, ma non ne sono sicuro. Bixio, il famoso Bixio, è là con l'Esercito piemontese. Oggi è Generale. Quando era repubblicano, Bixio aveva progettato, se fosse entrato in Roma, di gettare nel Tevere il Papa e i Cardinali... Ora egli è là, a Porta San Pancrazio; quel lato è il più esposto. Ci sono alcune abitazioni che soffriranno parecchio, tra cui quella di Torlonia.

 

zuavi pontifici

 

I ricordi del Tasso corrono molti rischi con i liberatori d'Italia; ma a queste persone non interessa un gran che. Ieri, sono stato nella casa dove Gesù Cristo venne condannato; ho percorso la Scala Santa con grande pena, ma avevo un sostegno; infine sono giunto. È su questa scala che Egli è salito per essere condannato. Salendo, mi dicevo: "Forse domani anch'io sarò condannato dai cattolici d'Italia: "Filii matris mea pugnaverunt contra me". Mi occorse molta forza, e Dio me la concesse! Deo gratias!

 

Gli alunni del seminario americano mi hanno chiesto di poter imbracciare le armi; li ho ringraziati, e ho detto loro di unirsi a quelli che curano i feriti. Adesso Roma è circondata e cominciano a mancare molti beni di consumo... Ieri, tornando dalla Scala Santa, ho visto tutte le bandiere che sono state esposte per proteggersi. Ce ne sono delle inglesi, delle americane, delle tedesche e persino delle turche. Il principe Doria ne ha messa una inglese, non so perché.

 

zuavi pontifici

 

Quando sono tornato da Gaeta ho visto al mio passaggio molte bandiere che erano state esposte in mio onore. Oggi è diverso; non è per me che sono state esposte. Non è il fiore della società che accompagna gli italiani quando attaccano il Padre dei cattolici; è una miniatura di ciò che fecero i giovani romani che andarono al campo di Cesare quando passò il Rubicone. Il Rubicone è stato oltrepassato... Fiat voluntas tua in cœlo et in terra».

 

Dopo avere fatto inalberare la bandiera della pace, Sua Santità disse agli ambasciatori:

 

«Ho appena dato l'ordine di capitolare. Non è più possibile difendersi senza spargere molto sangue, ed è questo che non voglio. Non vi parlo di me; non è per me che piango, ma su questi poveri figli che sono venuti a difendermi come loro Padre. Ciascuno di voi si occuperà di quelli del proprio Paese. Ce ne sono di tutte le nazioni... Pensate anche, vi prego, agli inglesi e ai canadesi di cui qui nessuno rappresenta gli interessi... Ve li raccomando, ve li raccomando tutti, affinché li preserviate dai maltrattamenti di cui ebbero tanto a soffrire da parte di altri, qualche anno fa (nel 1860). Sciolgo i miei soldati dal giuramento di fedeltà che hanno fatto, per rendere loro la libertà».

 

 

Quindi, il Papa Re congedò i membri del corpo diplomatico; piangeva come un bambino. La capitolazione venne firmata il 20, e l'indomani, il 21, il Generale Kanzler annunciò il congedo dell'armata pontificia nei seguenti termini:

 

«Ufficiali, sottufficiali e soldati! È venuto il momento fatale di dividerci e di abbandonare forzatamente il servizio della Santa Sede che, più di tutto al mondo, ci sta tanto a cuore! Roma è caduta! Ma, grazie al vostro coraggio, alla vostra fedeltà e alla vostra ammirevole unione, è caduta con onore! Probabilmente, alcuni di voi si lamenteranno del fatto che la difesa non sia stata protratta più a lungo; ma una lettera di Sua Santità chiarirà tutto. Questa testimonianza dell'augusto Pontefice sarà la consolazione di tutti noi e la più bella ricompensa che possiamo ricevere nelle attuali circostanze. Devo anche mettervi a conoscenza del fatto che, separato con la violenza dal suo Esercito, Sua Santità si è degnato di sciogliervi da tutti i giuramenti militari. Addio, i miei cari commilitoni! Non dimenticate il vostro capo che conserverà di voi tutti un grande e immortale ricordo. Roma, il 21 settembre 1870. Kanzler».

 

Sopra: immagine-santino in cui sulla barca di Pietro Gesù sembra dormire (in realtà veglia), come narrato nel Vangelo della tempesta sedata (Mc 4, 35-41). Gli zuavi sono l'equipaggio che combatte contro le onde che sembrano sommergere l'imbarcazione.

 

Anche il Colonnello Allet inviò alcune parole di addio ai suoi cari zuavi. L'ora della separazione era arrivata. Accade allora una scena che i soldati del Papa non dimenticheranno mai. Tutti i difensori del Papato avrebbero desiderato vedere ancora una volta il loro beneamato Padre, ma questo favore stava per essere rifiutato - poiché l'ordine di mettersi in marcia era già stato dato - quando tutto ad un tratto una finestra del Vaticano si aprì, e si vide apparire il vero Re di Roma. Sollevando il braccio verso il cielo, Pio IX impartì loro la benedizione solenne: «Benedictio Dei omnipotentis...».

 

Il grido di «Viva Pio IX» eruppe da tutti i petti. Gli zuavi erano ricolmi di gioia e di felicità: alcuni lanciarono i loro cappelli in aria, mentre altri presentarono le armi. Dai balconi delle residenze che cingono piazza San Pietro, migliaia di persone ripetevano: «Viva il nostro Santo Padre! Viva il Papa! Viva Pio IX, il nostro Re»! Era troppo per il cuore del Sommo Pontefice.

 

Soccombendo all'emozione che lo soffocava, cadde tramortito tra le braccia di quelli che lo circondavano. La finestra si chiuse e i soldati pontifici presero la strada del loro rispettivo Paese, versando abbondanti lacrime sulla sorte dell'augusto prigioniero del Vaticano. I francesi furono raccolti a bordo di una fregata francese, l'Orénoque, nel porto di Civitavecchia. Il Comandante Léon Briot (1827-1876) li ricevette con i più grandi riguardi.

 

comandante léon briot

 

Scrive il Capitano Jacquemont:

 

«Il 25 settembre, che era una domenica, dopo la Messa celebrata dal loro cappellano sul ponte della fregata, gli zuavi si radunarono intorno al loro Colonnello. Il Capitano de Fumel spiegò la bandiera del reggimento, che aveva portato nascondendola nelle pieghe della sua cintura, e dopo aver salutato un'ultima volta questa gloriosa bandiera, bucata dalle pallottole a Mentana, gli zuavi se la divisero.

 

Ciascuno ne volle portare un frammento e custodire sul suo cuore questa reliquia della fede, del coraggio e dell'onore. Secondo l'espressione del Comandante d'Albiousse, per la maggior parte di essi erano le spoglie delle loro campagne. Poi, gli zuavi lasciarono l'"Orénoque" e si imbarcarono su di un piroscafo da trasporto merci, l'"Illissus", che era venuto a prenderli, e lasciarono subito il porto di Civitavecchia.

 

Sopra: fotografia che ritrae alcuni zuavi reduci.

 

Il secondo atto del dramma era concluso; calò il sipario. Il terzo atto si svolse il 2 ottobre: fu il voto o plebiscito. Manifesti menzogneri, minacce, bollettini inventati; tutto venne adoperato dai sostenitori della Rivoluzione per compiere questa buffonata, ossia ottenere un voto unanime - i cattolici avevano ricevuto del Papa l’istruzione di non votare - e far credere alle altre nazioni che "Vittorio Emanuele era amato da tutto il popolo romano"».

 

Il dramma era dunque finito. Pio IX, il Re legittimo, venne privato della sua corona, e Vittorio Emanuele, il re usurpatore, si installò a Roma, nel Palazzo del Quirinale che apparteneva al Papa.

 

Sopra: il Quirinale, oggi residenza del presidente

della repubblica, ma un tempo Palazzo Apostolico.

 

Sopra: ogni anno, il 20 settembre una rappresentanza del Grand'Oriente d'Italia, insieme ad esponenti del Partito Radicale, celebra la breccia di Porta Pia e la presa di Roma. L'avvenimento riportato su La Nazione, quotidiano di Prato, del 23 settembre 2016.

 

 

APPENDICE
GIURAMENTO DI FEDELTÀ DEGLI
ZUAVI PONTIFICI ALLA SANTA SEDE
18

 

 

tiara pontificia

Giuro a Dio Onnipotente di essere obbediente e fedele al mio sovrano, il Romano Pontefice, il nostro Santo Padre Papa Pio IX, e ai suoi legittimi successori;

Giuro di servirlo con onore e fedeltà, e di sacrificare la mia stessa vita per la difesa della sua augusta e sacra persona, per il sostegno della sua sovranità e per il mantenimento dei suoi diritti;

Giuro di non appartenere a nessuna sètta né civile né religiosa, a nessuna società segreta o corporazione, qualunque sia, che abbia come scopo, diretto o indiretto, quello di offendere la religione cattolica e di corrompere la società;

Giuro di non iscrivermi in nessuna sètta o società condannata dai decreti dei Romani Pontefici;

Giuro anche a Dio buonissimo e grandissimo di non avere alcun contatto, diretto o indiretto, con i nemici, chiunque siano, della religione e dei Romani Pontefici;

Giuro di non abbandonare mai le insegne del Sommo Pontefice e il posto che mi verrà affidato dai miei superiori;

Giuro di ubbidire a tutti miei legittimi superiori, di onorarli, di difenderli e di eseguire ai loro ordini tutto ciò che riguarda l'osservanza della religione e il fedele servizio della Santa Sede;

Giuro di osservare esattamente le condizioni del mio impegno, di sottomettermi a tutti gli articoli e a tutte le clausole delle leggi dello Stato pontificio e dei regolamenti militari, e di comportarmi sempre come valoroso e fedele soldato nel compimento dei miei doveri.

Che Dio e il suo santo Vangelo mi vengano in aiuto, per Gesù Cristo nostro Signore. Così sia.

 

tomba zuavo pontificio

Sopra: la tomba di uno zuavo pontificio

nel cimitero del Verano a Roma.

 


banner centro culturale san giorgio

 

Note

 

1 Traduzione dall'originale francese Les zouaves pontificaux, a cura di Paolo Baroni. Quando nel 2005 questo articolo è stato tradotto era reperibile nel sito web http://www.contrerevolution.org, oggi inesistente.

2 In realtà, l'unico regno che abbia ricevuto direttamente da Dio un'approvazione celeste è proprio lo Stato della Chiesa. Poco prima di ascendere alla destra del Padre, Gesù Cristo disse agli Apostoli: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra» (Mt 28, 18-20). In questo passo del Vangelo, che sancisce la regalità di Cristo non solo sui cuori dei singoli, ma anche sulle nazioni, è presente in germe la nozione di potere temporale della Chiesa, giacché Cristo - detentore di ogni potere - ha delegato l'uso di tale potestà al Suo Vicario, il Sommo Pontefice. Ciò è tanto vero che la maggior parte dei teologi medioevali pensava che per diritto divino positivo il potere, anche temporale, è dato al Vicario di Cristo e, tramite Lui, ai sovrani. Negli anni '60, la «chiesa conciliare» ha di fatto rinnegato la regalità sociale di Cristo con la Dichiarazione Dignitatis Humanæ.

3 Corrente di pensiero sorta intorno alla seconda metà dell'Ottocento, che cercava di conciliare i principî della fede con quelli liberali e massonici scaturiti dalla Rivoluzione Francese, e che venne più volte condannata dai Papi (particolarmente da Papa Pio IX nel Sillabo). Tale corrente ha preso forma nella storia italiana nel partito della Democrazia Cristiana, icona del compromesso e del tradimento, ed è oggi trionfante anche anche negli ambienti cattolici.

4 Quando il 13 luglio 1881 la salma di Pio IX (che Garibaldi chiamava «metro cubo di letame») venne traslata nella Basilica di San Lorenzo, i massoni tentarono di assaltare il feretro del Papa per gettarlo nel Tevere. L'ultimo atto di spregio a colui che non aveva avuto il «coraggio» di essere l'ultimo Papa e di farla finita con il Papato romano.

5 In risposta all'aggressione dei liberali, nacque a Venezia l'Opera dei Congressi, che riuniva i politici cattolici italiani «intransigenti», ossia fedeli alle esortazioni del Papa. Purtroppo, negli anni a seguire tale istituzione venne infiltrata da cattolici liberali e la Santa Sede ne ordinò la soppressione.

6 Per raggiungere il suo sordido scopo (annettere i territori della Chiesa), Vittorio Emanuele II si servì dei massoni e dei liberali e, come si suol dire, «cavalcò la tigre». In realtà, furono i liberali e i massoni - nemici del trono e dell'altare - a servirsi della cupidigia del re sabaudo per distruggere il potere temporale della Chiesa. Infatti, una volta raggiunto il loro obiettivo, si disfarono della monarchia dei Savoia che difatti da lì a poco non regnò più.

7 Metà delle truppe pontificie era costituito da italiani. Ma c'erano anche francesi, svizzeri, belgi, irlandesi, canadesi, ecc...

8 Molti cattolici (e anche buona parte della stessa Gerarchia), influenzati dal clima instaurato nella Chiesa odierna dai continui atti di mea culpa per gli «errori» del passato, pensano che la difesa armata dei territori della Chiesa sia un altro di quei deprecabili fatti storici «contrari allo spirito del Vangelo» (l'Inquisizione, le Crociate, ecc...), e di cui bisogna necessariamente fare ammenda di fronte al mondo.

9 Annoverato tra i «padri della patria», Mazzini fu iniziato alla Carboneria tra il 1827 e il 1829, divenendo uno dei discepoli del famoso massone statunitense Albert Pike (1809-1891). Nel 1864, il Grand'Oriente di Palermo gli accordò il 33° Grado. Il 3 giugno 1868, fu proclamato Venerabile Perpetuo ad onorem della Loggia Lincoln di Lodi e lo si propose alla carica di Gran Maestro. Il 24 luglio, venne nominato membro onorario della Loggia La Stella d'Italia di Genova, e il 1° ottobre 1870, della Loggia La Regione dello stesso Oriente (N.d.T.).

10 Il 1849 fu l'anno della Repubblica Romana, un organismo statale formatosi nello Stato Pontificio durante il biennio rivoluzionario del 1848-1849; l'insurrezione portò all'abolizione del potere temporale della Chiesa e all'instaurazione di un regime di matrice laica e liberale. La nascita della Repubblica si inquadra nella particolare situazione venutasi a creare a Roma, quando Pio IX, ritenuto a torto di simpatie liberali, condannò il processo riformatore in atto dopo l'attentato in cui cadde vittima il Primo Ministro Pellegrino Rossi. Nella città, abbandonata dal Papa e rimasta senza direzione politica, presero il sopravvento i gruppi rivoluzionari che proclamarono la repubblica (9 febbraio 1849). A Roma accorsero esponenti di punta del movimento rivoluzionario, come Mazzini, Garibaldi, Aurelio Saffi (1819-1890), Carlo Pisacane (1818-1857), Goffredo Mameli (1827-1849), Enrico Cernuschi (1821-1896) e Luciano Manara (1825-1849), alcuni dei quali erano profughi da altri Stati. Il triumvirato composto da Aurelio Saffi, Carlo Armellini (1777-1863) e Giuseppe Mazzini, che in marzo si insediò al governo della Repubblica, adottò misure di deciso rinnovamento, quali la soppressione dell'Inquisizione e della censura ecclesiastica e l'incameramento dei beni della Chiesa, nel quadro di una radicale laicizzazione dell'ex Stato Pontificio. Il 3 luglio 1849, i francesi, dopo aver vinto le resistenze garibaldine, entrarono nella capitale e la riconsegnarono al Papa. Massoni erano anche Mameli, autore dell'Inno Fratelli d'Italia (che morì durante la presa di Roma), Manara, Pisacane e Saffi.

11 Eroe normanno vissuto ai tempi di Carlo Magno (742-814).

12 Charette era un discendente del famoso condottiero vandeano François A. Charette de La Contrie (1763-1796), che dal 1793 al 1796 si batté contro le armate rivoluzionarie in difesa della monarchia e della religione cattolica. Oltre al Capitano Charette, altri tre fratelli (Alain, Ferdinand e Louis) servirono nell'armata del Papa.

13 Trattasi dell'Autore di questo scritto.

14 Garibaldi venne iniziato alla Massoneria nel 1844, all'età di trentasette anni, nella Loggia L'Asil de la Vertud di Montevideo, una Loggia irregolare, emanazione della Massoneria brasiliana, non riconosciuta dalle principali obbedienze massoniche internazionali, quali erano la Gran Loggia d'Inghilterra e il Grand'Oriente di Francia. Sempre nel corso del 1844, egli regolarizzò tuttavia la sua posizione presso la Loggia Les Amis de la Patrie di Montevideo posta all'obbedienza del Grand'Oriente di Parigi. Al pari di altri influenti massoni italiani egli entrò quindi in Massoneria in età relativamente avanzata (undici anni dopo l'affiliazione alla Giovane Italia) e durante l'esperienza dell'esilio. Importanti furono anche i contatti che Garibaldi ebbe durante il secondo esilio, quando frequentò le Logge massoniche di New York e intorno al 1853-1854, prima di rientrare nel Regno di Sardegna, la Loggia Philadelphes di Londra: qui si raccoglievano alcuni esponenti dell’internazionalismo democratico aperti ai contributi del pensiero socialista e inclini a collocare la Massoneria su posizioni fortemente antipapiste. Soltanto nel giugno 1860, nella Palermo appena conquistata, Garibaldi venne elevato al Grado di Maestro massone (N.d.T.).

15 Questo politico francese, nonostante l'ottima analisi dei fatti presentata in questo libretto, fu il principale esponente del cattolicesimo liberale francese assieme allo scomunicato don Félicité de Lamennais (1782-1854), e fu fautore di una politica di compromesso con i nemici della Chiesa.

16 Generale e uomo politico italiano, fu al fianco di Garibaldi nella difesa della Repubblica Romana (1849) e combatté nei Cacciatori delle Alpi durante la Seconda Guerra d'Indipendenza italiana. Braccio destro di Garibaldi nella spedizione dei Mille, organizzò la repressione delle sollevazioni contadine dirette contro i grandi proprietari terrieri che scoppiarono in Sicilia nel corso dell'impresa garibaldina e che avevano come obiettivo la conquista della terra e la liberazione dallo sfruttamento signorile. Nel comune di Bronte (Catanzaro), ordinò la fucilazione di alcuni ribelli; l'episodio venne in seguito giudicato come la prova della caratterizzazione eminentemente politica del Risorgimento italiano, entro la quale la questione sociale non trovò particolare attenzione neppure tra le forze democratiche. Partecipò alla presa di Roma (1870). Eletto deputato (1861) e successivamente senatore (1870) nel Parlamento italiano, lasciò la carriera politica poco dopo l'annessione di Roma e si imbarcò su un bastimento diretto in Oriente; morì per un attacco di febbre gialla.

17 Il 22 ottobre 1867, Giuseppe Monti, insieme al ventitreenne romano Gaetano Tognetti, come lui muratore, partecipò ad un tentativo di insurrezione in Roma ponendo una mina sotto la caserma Serristori, sede degli zuavi pontifici. Restarono feriti alcuni zuavi (23 morti più i feriti) e altre persone (4 morti più i feriti). Arrestati, furono condannati a morte e decapitati il 24 novembre 1868.

18 Cfr. J. Guenel, La dernière guerre du Pape («L'ultima guerra del Papa»), Presses Universitaires de Rennes, 1998, pagg. 53-54.
 

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